Lavoro e disabilità: e se cambiassimo prospettiva?

Primo Maggio: anche quest’anno, in concomitanza con la Festa del Lavoro, parlando di lavoro e disabilità, l’accento è stato posto sulla situazione occupazionale ancora decisamente insoddisfacente, con una larghissima percentuale di persone con disabilità in età produttiva, e non inabili, che non riescono ad inserirsi in un contesto professionale qualificato. Il punto di vista dal quale viene affrontata la questione è sempre lo stesso: la legge sul collocamento mirato esiste, ma non viene applicata adeguatamente; sono previste sanzioni per le aziende che non includono una percentuale di lavoratori con disabilità nel proprio organico, ma questo deterrente si dimostra debole perché- ancora di più in questo periodo contrassegnato dall’emergenza legata alla pandemia- i controlli sono sostanzialmente assenti.

Lavoro e disabilità

Tutto vero, tutto corretto. Ma non vi sembra che, in questo quadro, manchino i protagonisti principali? Ci sono le istituzioni, ci sono le aziende… ma i diretti interessati, vale a dire i lavoratori con disabilità? Se ci sono, è solo per raccontare storie di insuccesso: “Aspetto da anni che mi chiamino, ma non lo fa nessuno“. E se fosse (anche) questo il problema?  Proviamo a guardare il tema lavoro e disabilità da un punto di vista diverso, nel quale i lavoratori e le lavoratrici con disabilità non siano più figuranti passivi, in attesa che qualcuno (le istituzioni, le aziende, un privato) tenda loro la mano ed elargisca un lavoro,  ma protagonisti attivi, che non aspettano, ma si attivano per ottenerlo, quel lavoro! No, mandare cv a pioggia, chiedendo un lavoro “per favore, per pietà, perché ne ho bisogno” o condividere post di denuncia non serve. Anzi, il più delle volte, può rivelarsi addirittura controproducente (e ciò vale anche per chi una disabilità non ce l’ha, sia chiaro).

lavoro e disabilità: LE ORIGINI DEL PROBLEMA (E una possibile soluzione)

Perché le aziende sono spesso restie ad assumere persone con disabilità, anche se qualificate? Perché, anche quando lo fanno, le adibiscono, il più delle volte, a mansioni junior, non sempre in linea con le competenze e le esperienze delle persone in questione e, per carità, senza contatti diretti con il pubblico?  Anch’io, convivendo con una disabilità evidente praticamente da sempre ed essendo donna, nel mio percorso lavorativo,  mi sono trovata in molte occasioni a fare i conti con pregiudizi, porte spalancate finché l’azienda o il recruiter in questione vedevano il mio curriculum che si chiudevano appena m’incontravano al colloquio. Mi è anche capitato di essere contattata per un ruolo di responsabilità, che, al colloquio in presenza, improvvisamente si trasformava in una mansione meno qualificata. Perché?

Team di lavoro

Se questa fosse stata l’unica costante, probabilmente anch’io sarei giunta alla conclusione che la mia disabilità non mi avrebbe consentito di avere un lavoro qualificato, in linea con le mie competenze e con le mie aspirazioni. Però, così non è stato. Sono riuscita ad incontrare più volte referenti aziendali che hanno visto in me la professionista, prima che la disabilità (e gli eventuali problemi ad essa correlati). Fortuna? Certo. Ma sono dell’idea che, nella vita, la fortuna bisogni anche costruirsela. Il che è ancor più vero quando, per usare una metafora sportiva, si gioca con addosso una zavorra non di poco conto, quale è la disabilità. Come mi hanno recentemente ricordato i miei attuali diretti superiori, ai loro occhi la differenza l’ho fatta io, perché le mie competenze, le mie esperienze, la qualità del mio lavoro non hanno mai dato loro motivo di soffermarsi sulla mia disabilità, vedendola come un problema (o come il motivo per assumermi).

 

Con questo, non voglio presentarmi come un modello da imitare. Sono ben consapevole che le esperienze di vita di ciascuno sono diverse e, spesso, condizionano le scelte che facciamo. Vorrei, però, che la mia storia portasse qualcuno a convincersi che, magari, cambiando atteggiamento e proponendosi ponendo l’accento non sul problema (la disabilità), ma sulla soluzione (ciò che io lavoratore posso fare per l’azienda per la quale mi sto candidando, in quel ruolo specifico e in generale),  le cose potrebbero anche andare diversamente.

Non credo che le aziende siano “cattive” e portate a discriminare chi ha una disabilità. Il più delle volte, lo fanno perché condizionate da una narrazione della disabilità incentrata sull’impossibilità, sulle limitazioni, sulla sofferenza, sull’assistenzialismo. Sono fermamente convinta che sia proprio questo il punto da cui partire: senza cadere nell’errore opposto (l’esaltazione dell'”eroismo” delle persone con disabilità), cerchiamo di ripartire da un’assunzione diretta di responsabilità, per essere padroni e padrone del nostro destino: facciamoci vedere, facciamoci sentire, pretendiamo che ci si parli e ci si tratti da professionisti (e comportiamoci sempre come tali, ovviamente), non come “bisognosi” da aiutare. Le porte in faccia non mancheranno, così come le delusioni, le amarezze, i commenti di qualche collega. Ma, come si suol dire, le rivoluzioni si fanno un passo alla volta. Iniziamo?

Decreto Milleproroghe e diritto al lavoro per le persone con disabilità

Nei giorni scorsi, con l’approvazione (per adesso, solo al Senato, in attesa che si pronunci la Camera dei Deputati) del cosiddetto “Decreto Milleproroghe“, un’autentica doccia gelata si è abbattuta sulle speranze di più di 70.000 persone con disabilità di riuscire a vedere, finalmente, riconosciuto (seppure con l’aiuto di un’ulteriore legge) un diritto che, per tutti, è sancito dall’articolo 4 della nostra Costituzione: il diritto al lavoro.

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società

Infatti, se fosse approvato anche dalla Camera, il Decreto Milleproroghe farebbe slittare al 1° gennaio 2018 l’entrata in vigore, per le aziende con più di 15 dipendenti, dell’obbligo di assumere (indipendentemente dalla volontà o necessità di effettuare nuove assunzioni) lavoratori con disabilità, per non incorrere nelle relative sanzioni, introdotte col Jobs Act. Rimarrebbe, naturalmente (e fortunatamente!) l’obbligo di assumerli nelle quote previste in caso di nuove assunzioni. Ma resta il fatto che, con l’eventuale (ennesimo) slittamento di un obbligo più stringente, si porrebbe un altro ostacolo (anche in questo caso, l’ennesimo) all’effettiva inclusione delle persone con disabilità nel mondo del lavoro, con le ovvie ricadute sul loro riconoscimento come membri a pieno titolo della società.

Esistono aziende che, trovandosi nella necessità di assumere nuovi lavoratori, non si fanno condizionare dall’eventuale disabilità, ma scelgono la persona in virtù delle sue competenze o esperienze, valorizzandola e consentendole di dare un fattivo contributo all’attività e alla crescita dell’azienda stessa. Ma queste rappresentano ancora delle sporadiche, per quanto lodevolissime, eccezioni, a fronte di tante altre che, pur di non assumere il (supposto) “peso morto” (il pregiudizio secondo il quale la “categoria protetta” lavora poco ed è “sempre in malattia” è duro a morire…), pagano la multa o di quelle che assumono le “categorie protette” (niente da fare: questa dicitura non riesco proprio a farmela piacere…), anche qualificate, per poi destinarle a mansioni poco rilevanti o ostacolarne, di fatto, la crescita professionale e la carriera.

decreto milleproroghe e lavoro disabili

Mi è capitato spesso, negli anni, di essere contattata da aziende o società di selezione che mi offrivano un lavoro in quanto “categoria protetta”, senza prestare la minima attenzione al mio curriculum (non esattamente privo né di titoli, né di esperienze qualificate, per mia fortuna). Alla mia obiezione “Ma ha letto il mio curriculum?”, la risposta è, più o meno, sempre la stessa: “Eh… ma cercano una categoria protetta… e Lei lo è”. Come a dire: “Ti sto offrendo un lavoro, e ti lamenti pure?”. La cosa triste è che questo atteggiamento, spesso, si riscontra anche nelle associazioni o negli organismi che dovrebbero tutelare il diritto al lavoro (e alle pari opportunità anche in quell’ambito) delle persone con disabilità: “Ti hanno offerto/Hai un lavoro, che vuoi di più? Pensa a chi non ce l’ha!”.

Ecco, questi atteggiamenti non si modificano o cancellano certamente solo a colpi di legge. Serve –come ha evidenziato anche Daniele Regolo, founder di Jobmetoo- lavorare molto sulla cultura della disabilità, far arrivare ovunque il messaggio secondo il quale la condizione di disabilità non è, di per sé, incompatibile con la possibilità di lavorare, anche ricoprendo ruoli di responsabilità (dove sta scritto che la persona con disabilità non può fare carriera?). Ma, nell’attesa che il lavoro anche su questo (enorme) fronte produca i propri frutti, è necessario che sia la legge a garantire questo diritto (non “gentile concessione”). E il Decreto Milleproroghe non va certo in questa direzione.

Colloquio di lavoro e disabilità: come comportarsi?

Il colloquio di lavoro, lo sappiamo, è un’esperienza decisamente stressante per tutti, essendo carica di aspettative, speranze…e di una buona dose di ansia! Ma quando il candidato è una persona con disabilità all’ansia da colloquio si aggiunge un ulteriore disagio: “Come sarà accolta la mia disabilità? Dovrò parlarne? Se sì, in che termini e fino a che punto? Dovrò portare con me la documentazione?” e così via. Cerchiamo, quindi, di fare un po’ di chiarezza.

Disabilità: parlarne durante il colloquio o no?

Se la posizione per la quale ci si candida e si è stati chiamati per il colloquio è rivolta a persone appartenenti alle “categorie protette” (non so voi, ma io detesto quest’espressione: non sono un animale in via d’estinzione!), il selezionatore si aspetta, ovviamente, d’incontrare una persona con disabilità, quindi è normale che possa rivolgerci qualche domanda relativa alla nostra condizione, per capire se compatibile con l’attività richiesta dal ruolo in questione.  Non c’è nulla di strano o pregiudizievole, in questo. Anzi, è l’occasione giusta per fare presenti eventuali particolari esigenze (per esempio, se avremo bisogno di assentarci regolarmente per visite mediche o terapie, nel qual caso sarà opportuno richiedere i permessi previsti dalla legge 104/92) o porre domande più specifiche sull’attività quotidiana che ci si aspetta da noi. Ma niente paura: non sarà necessario violare la nostra privacy scendendo troppo nei dettagli della nostra patologia o storia clinica! Basterà spiegare brevemente se ci sono attività che non saremo in grado di svolgere e se, per esempio, avremo bisogno di strumenti o adattamenti alla postazione lavorativa.

quale documentazione portare al colloquio?

Come dicevamo, non è necessario arrivare al colloquio portandoci dietro tutti i faldoni contenenti i dettagli della nostra storia clinica (e meno male!). Può risultare utile, invece, portare con noi (oltre al curriculum e  all’eventuale altra documentazione professionale richiesta, naturalmente!):

Il resto è decisamente superfluo. Anche perché, proprio come accade a chiunque affronti un colloquio di lavoro, in quella sede al centro non dovrà essere la nostra disabilità o la storia clinica, ma le nostre competenze, esperienze ed aspirazioni.

Avete in programma un colloquio di lavoro nei prossimi giorni? In bocca al lupo e, magari, in fase di preparazione, date un’occhiata anche a questi consigli dei recruiter di Jobmetoo!

 

 

Lavoro all’estero e disabilità: come fare?

Sappiamo tutti quanto sia difficile la situazione occupazionale in Italia, per tutti, ma, a maggior ragione, per chi ha una disabilità. A fronte di politiche che, da decenni, puntano a favorire l’inserimento delle persone con disabilità nel mondo del lavoro, è ancora molto alta la percentuale di persone con disabilità senza lavoro. Sono molti i “cervelli in fuga”, che hanno lasciato l’Italia per cercare opportunità di lavoro all’estero. Ma come fare  se, oltre al problema di trovare un lavoro, si ha anche una disabilità?

Lavoro all'estero disabili

Se tra i vostri propositi per il nuovo anno c’è quello di cercare lavoro all’estero, la prima cosa da tenere presente è che non tutti i Paesi prevedono misure analoghe al nostro “collocamento mirato“. In Paesi come Francia, Germania e Spagna, la normativa è simile a quella italiana, mentre in altri (tra i quali, Irlanda, Olanda e Regno Unito) non è prevista alcuna “quota obbligatoria” per le aziende. Ci sono, poi, realtà (per esempio, la Finlandia) nelle quali non esistono leggi specifiche per l’inserimento lavorativo dei disabili, perché questi ultimi sono totalmente integrati nella società: la Finlandia, per continuare con l’esempio, è tra i Paesi con i tassi più alti di occupazione delle persone con disabilità. Nel Regno Unito (che, in questi anni, è stata una delle mete preferite dai nostri “cervelli in fuga”), dal 2010 vige l’Equality Act, che garantisce pari opportunità per tutti (persone con disabilità incluse) in ogni ambito della vita, lavoro compreso.

Ma, quindi, come deve regolarsi la persona disabile che voglia cercare lavoro all’estero? Innanzitutto, la persona disabile che vuole lavorare e, in generale, vivere in un Paese estero, usufruendo di tutti gli eventuali benefici che questo prevede per chi ha una disabilità accertata, deve assicurarsi di ottenere una certificazione della disabilità che sia conforme alla legislazione di quel Paese: allo stato attuale delle cose, il certificato d’invalidità italiano non è sufficiente, neanche all’interno dell’Unione Europea, per essere assunti all’estero come persone con disabilità o godere di sussidi o altri servizi riservati a chi ha una disabilità. Bisogna, quindi, conoscere la normativa locale e ottenere una certificazione della disabilità che sia valida in quel Paese.

Ma niente paura: esistono, per fortuna, vari servizi ed associazioni, più o meno ovunque, a cui ci si può rivolgere per farsi aiutare e chiarire ogni dubbio, evitando problemi. Quindi, se siete decisi a cercare lavoro all’estero, vi consiglio d’informarvi bene sulla normativa specifica del Paese che v’interessa (guardando anche oltre la sfera lavorativa: in fondo, in quel Paese dovrete viverci anche oltre l’orario di lavoro, no?) e, magari, prima di organizzare il trasloco definitivo, trascorrervi un periodo da turisti per informarvi direttamente in loco. E non dimenticate d’imparare bene la lingua locale o, almeno, l’inglese (che aiuta ovunque): aumenterà le probabilità di trovare lavori qualificati e adatti alla vostra disabilità!

In bocca al lupo e, se avete informazioni su Paesi specifici, condividetele pure nei commenti!

Relazione conclusiva: cos’è e come ottenerla

La relazione conclusiva rientra tra i documenti necessari per inserirsi nelle liste del  collocamento mirato delle persone con disabilità. Prevista dal D.P.C.M. del 13 gennaio 2000, è un certificato privo di dati sensibili e redatto dalla Commissione Medica Integrata della ASL, che riporta la diagnosi funzionale e fornisce indicazioni sulle mansioni che la persona con disabilità è idonea a svolgere.

Relazione conclusiva

La relazione conclusiva non è necessariamente richiesta dalle aziende private che assumano persone con disabilità, ma è comunque utile farsela rilasciare, per ogni evenienza. Anche perché la procedura per richiederla, oggi, è molto semplice.

  1. Se si è già in possesso del PIN dell’INPS, è sufficiente accedere all’area “Servizi online” del sito e selezionare Servizi per il cittadino e, quindi, Invalidità Civile: Invio Domanda di Riconoscimento dei Requisiti sanitari.
  2. Dopo aver inserito codice fiscale e PIN INPS, si accede all’area dalla quale  presentare la domanda comodamente online, cliccando su Acquisizione Richiesta.
  3. Nelle schermate che seguiranno, vanno inseriti i propri dati anagrafici e, se la propria invalidità è già stata accertata e si vuole semplicemente godere del riconoscimento dei benefici della legge relativa al collocamento mirato, basta selezionare, rispettivamente Riconoscimento e Collocamento mirato.
  4. Una volta terminato di compilare la domanda e inviata al sistema, se ne visualizzeranno copia e ricevuta, entrambe in formato PDF: è consigliabile salvare entrambi i documenti sul computer, per eventuali verifiche o richieste d’informazioni.
  5. Accedendo al sito INPS, inoltre, sarà possibile verificare lo status della domanda, eventuali appuntamenti fissati, etc.
  6. Dopo qualche settimana, si riceverà tramite raccomandata la convocazione per le due visite necessarie per il rilascio della relazione conclusiva: la prima consiste in un colloquio con uno dei componenti della commissione medica, per conoscere la persona, la sua situazione formativa e lavorativa, le sue abitudini e condizioni di vita.
  7. Le informazioni raccolte durante il colloquio saranno utili alla commissione medica per gestire meglio la visita successiva, dopo la quale sarà effettivamente stilata la relazione conclusiva, che arriverà al richiedente entro 4 mesi dalla visita.

Una volta ottenuta la relazione conclusiva, ne va consegnata una copia al datore di lavoro (se l’ha richiesta) e una al Centro per l’Impiego, che provvederà ad aggiungerla al fascicolo relativo al lavoratore disabile iscritto al collocamento mirato.

Diverse abilità e lavoro: il “collocamento mirato”

Nel corso degli anni, sono state emanate molte leggi per favorire l’accesso delle persone disabili al lavoro, con la possibilità di svolgere attività compatibili con la loro capacità lavorativa residua. Tra tutte, la più famosa e citata è la legge 68/99, che disciplina, per l’appunto, il cosiddetto collocamento mirato, non solo delle persone disabili (tra quelle che, comunemente, vengono definite “categorie protette” non rientrano solo i disabili, ma anche orfani e vedovi di guerra o del lavoro, profughi e vittime del terrorismo o della criminalità organizzata). La normativa prevede, per le aziende con un numero di dipendenti superiore a 15, l’obbligo di assumere anche lavoratori con disabilità (in numero proporzionale al totale dei dipendenti), scegliendoli tra quelli inseriti nelle liste in questione. Ma come fare ad avere accesso a questo (piccolo) vantaggio?

ufficio

  1. Per prima cosa, è essenziale essere in possesso del certificato attestante l’invalidità e della relazione conclusiva, un documento redatto dalla stessa commissione medica che certifica l’invalidità e che ha lo scopo di dettagliare la capacità lavorativa residua della persona e le mansioni per le quali è idoneo. Per richiedere l’uno o l’altra, potete fare riferimento al sito dell’INPS.
  2. Poi, recarsi presso il Centro per l’Impiego competente per la propria zona, portando con sé, oltre ai due documenti di cui sopra, la carta d’identità e il codice fiscale.
  3. Non è necessario esibire attestati relativi a titoli di studio e qualifiche professionali: è sufficiente l’autocertificazione.

Una volta inseriti nell’elenco provinciale, si verrà contattati in caso di opportunità idonee. Appena si inizia un rapporto di lavoro, si viene cancellati dall’elenco (in quanto non più disponibili): se quel rapporto di lavoro si conclude, è, quindi, necessario ripetere l’iscrizione, ma, per farlo, bastano pochi minuti!

Nelle prossime settimane, analizzeremo insieme i servizi privati (in particolare, i siti specializzati) che favoriscono l’accesso delle persone disabili al mondo del lavoro.