Abbiamo parlato più volte dell’importanza del lavoro per la piena inclusione delle persone con disabilità nella società, sottolineando come, nel nostro Paese, siano in vigore varie leggi e misure che mirano a facilitare questo processo. Eppure, anche durante la V Conferenza Nazionale sulle politiche sulla disabilità, svoltasi a Firenze a settembre, è emerso come la piena occupazione delle persone con disabilità in età da lavoro sia ancora un obiettivo lontano. Come arrivarci? Tra le misure auspicate in quell’occasione, c’è l’introduzione, in tutte le aziende del settore privato, della figura del disability manager. Ma chi è e cosa fa esattamente?
un po’ di storia
Il disability management, come approccio, nasce a fine anni Ottanta, diffondendosi, all’inizio, in Canada, USA e Nord Europa. In Italia, se ne parla per la prima volta nel 2009, pensando al disability manager come figura da inserire nella pubblica amministrazione, col compito di agire da facilitatore, costruendo soluzioni che garantiscano alle persone con disabilità la massima autonomia in tutti gli ambiti della vita, dall’accessibilità urbanistica all’inclusione scolastica, dal lavoro al turismo. Nel 2010, è nata la SIDIMA (Società Italiana Disability Manager), che raccoglie più di 150 associati su tutto il territorio nazionale.
come si diventa disability manager?
Il disability manager è un professionista (architetto, medico, fisiatra, assistente sociale, avvocato, etc.) che si è specializzato in quest’ambito attraverso un apposito corso universitario (ad oggi, ce ne sono a Milano, Napoli e Padova), acquisendo competenze tecniche di alto livello, spendibili sia all’interno della pubblica amministrazione che in aziende private.
disability manager e lavoro
Ma quale sarebbe il contributo del disability manager all’inclusione lavorativa delle persone con disabilità? A questa figura spetterebbe il compito di agevolare la relazione tra l’azienda e la persona con disabilità, sia nella fase di selezione, assunzione ed inserimento che per tutta la carriera del lavoratore in quell’azienda, garantendo l’eliminazione di tutti gli ostacoli che impediscono al lavoratore stesso (sia che la sua disabilità sia congenita, sia che l’abbia acquisita durante il percorso lavorativo) di accedere al lavoro o di svolgerlo in maniera soddisfacente, indipendentemente dalla propria condizione di disabilità, individuando le soluzioni più idonee (per fare un esempio, lo smartworking).
Percorsi di questo tipo, in Italia, sono già attivi in alcune grandi aziende (tra le altre, UniCredit, Enel, Eli Lilly) ed amministrazioni pubbliche (per esempio, i Comuni di Bologna ed Alessandria). L’auspicio è che si diffondano ulteriormente, a beneficio della società nel suo complesso.