Lavoro e disabilità: e se cambiassimo prospettiva?

Primo Maggio: anche quest’anno, in concomitanza con la Festa del Lavoro, parlando di lavoro e disabilità, l’accento è stato posto sulla situazione occupazionale ancora decisamente insoddisfacente, con una larghissima percentuale di persone con disabilità in età produttiva, e non inabili, che non riescono ad inserirsi in un contesto professionale qualificato. Il punto di vista dal quale viene affrontata la questione è sempre lo stesso: la legge sul collocamento mirato esiste, ma non viene applicata adeguatamente; sono previste sanzioni per le aziende che non includono una percentuale di lavoratori con disabilità nel proprio organico, ma questo deterrente si dimostra debole perché- ancora di più in questo periodo contrassegnato dall’emergenza legata alla pandemia- i controlli sono sostanzialmente assenti.

Lavoro e disabilità

Tutto vero, tutto corretto. Ma non vi sembra che, in questo quadro, manchino i protagonisti principali? Ci sono le istituzioni, ci sono le aziende… ma i diretti interessati, vale a dire i lavoratori con disabilità? Se ci sono, è solo per raccontare storie di insuccesso: “Aspetto da anni che mi chiamino, ma non lo fa nessuno“. E se fosse (anche) questo il problema?  Proviamo a guardare il tema lavoro e disabilità da un punto di vista diverso, nel quale i lavoratori e le lavoratrici con disabilità non siano più figuranti passivi, in attesa che qualcuno (le istituzioni, le aziende, un privato) tenda loro la mano ed elargisca un lavoro,  ma protagonisti attivi, che non aspettano, ma si attivano per ottenerlo, quel lavoro! No, mandare cv a pioggia, chiedendo un lavoro “per favore, per pietà, perché ne ho bisogno” o condividere post di denuncia non serve. Anzi, il più delle volte, può rivelarsi addirittura controproducente (e ciò vale anche per chi una disabilità non ce l’ha, sia chiaro).

lavoro e disabilità: LE ORIGINI DEL PROBLEMA (E una possibile soluzione)

Perché le aziende sono spesso restie ad assumere persone con disabilità, anche se qualificate? Perché, anche quando lo fanno, le adibiscono, il più delle volte, a mansioni junior, non sempre in linea con le competenze e le esperienze delle persone in questione e, per carità, senza contatti diretti con il pubblico?  Anch’io, convivendo con una disabilità evidente praticamente da sempre ed essendo donna, nel mio percorso lavorativo,  mi sono trovata in molte occasioni a fare i conti con pregiudizi, porte spalancate finché l’azienda o il recruiter in questione vedevano il mio curriculum che si chiudevano appena m’incontravano al colloquio. Mi è anche capitato di essere contattata per un ruolo di responsabilità, che, al colloquio in presenza, improvvisamente si trasformava in una mansione meno qualificata. Perché?

Team di lavoro

Se questa fosse stata l’unica costante, probabilmente anch’io sarei giunta alla conclusione che la mia disabilità non mi avrebbe consentito di avere un lavoro qualificato, in linea con le mie competenze e con le mie aspirazioni. Però, così non è stato. Sono riuscita ad incontrare più volte referenti aziendali che hanno visto in me la professionista, prima che la disabilità (e gli eventuali problemi ad essa correlati). Fortuna? Certo. Ma sono dell’idea che, nella vita, la fortuna bisogni anche costruirsela. Il che è ancor più vero quando, per usare una metafora sportiva, si gioca con addosso una zavorra non di poco conto, quale è la disabilità. Come mi hanno recentemente ricordato i miei attuali diretti superiori, ai loro occhi la differenza l’ho fatta io, perché le mie competenze, le mie esperienze, la qualità del mio lavoro non hanno mai dato loro motivo di soffermarsi sulla mia disabilità, vedendola come un problema (o come il motivo per assumermi).

 

Con questo, non voglio presentarmi come un modello da imitare. Sono ben consapevole che le esperienze di vita di ciascuno sono diverse e, spesso, condizionano le scelte che facciamo. Vorrei, però, che la mia storia portasse qualcuno a convincersi che, magari, cambiando atteggiamento e proponendosi ponendo l’accento non sul problema (la disabilità), ma sulla soluzione (ciò che io lavoratore posso fare per l’azienda per la quale mi sto candidando, in quel ruolo specifico e in generale),  le cose potrebbero anche andare diversamente.

Non credo che le aziende siano “cattive” e portate a discriminare chi ha una disabilità. Il più delle volte, lo fanno perché condizionate da una narrazione della disabilità incentrata sull’impossibilità, sulle limitazioni, sulla sofferenza, sull’assistenzialismo. Sono fermamente convinta che sia proprio questo il punto da cui partire: senza cadere nell’errore opposto (l’esaltazione dell'”eroismo” delle persone con disabilità), cerchiamo di ripartire da un’assunzione diretta di responsabilità, per essere padroni e padrone del nostro destino: facciamoci vedere, facciamoci sentire, pretendiamo che ci si parli e ci si tratti da professionisti (e comportiamoci sempre come tali, ovviamente), non come “bisognosi” da aiutare. Le porte in faccia non mancheranno, così come le delusioni, le amarezze, i commenti di qualche collega. Ma, come si suol dire, le rivoluzioni si fanno un passo alla volta. Iniziamo?

Davvero “andrà tutto bene”? I “dimenticati” del lockdown

In questi circa tre mesi di “lockdown” (o blocco che dir si voglia) ho preferito restare in silenzio, almeno su Move@bility. Mi dicevo: “Che senso avrebbe parlare di libertà di movimento, in un momento in cui è richiesto a tutti di rinunciare, per l’appunto, alla libertà di movimento a causa di una pandemia?“. Questo periodo è stato complesso e pesante, sia fisicamente che psicologicamente, per mille motivi, anche per me come, in modi e per ragioni diverse, per ciascuno di noi. E proprio per questo temevo che spazi (questo sito, ma anche le sue estensioni social) che avevo pensato come luoghi di confronto, riflessione e mobilitazione “positiva” per creare insieme un mondo senza barriere potessero trasformarsi, in qualche modo, in altri “sfogatoi”, come se ne vedono, a mio avviso, fin troppi, online e non solo. Però, adesso che in Italia siamo ufficialmente entrati nella Fase-2, forse si può anche ricominciare a parlare di temi che, in questi mesi, sono rimasti decisamente sottotraccia.

Lockdown - silenzio

Per esempio, chi ha decretato il lockdown ha pensato a garantire, a volte con qualche problema iniziale, l’approvvigionamento di cibo e farmaci a domicilio per persone anziane o con disabilità impossibilitate ad uscire di casa o che si sono ritrovate senza il supporto di familiari e amici non conviventi. Ma non è stato fatto altrettanto per le terapie extra-farmacologiche: fisioterapia, terapia occupazionale e altri trattamenti specifici non sempre fruibili a domicilio o che, comunque, richiedono la presenza attiva di altre persone (i fisioterapisti, per fare un esempio)- Per molti (me compresa), queste terapie sono dei veri e propri “salvavita“. Eppure, la risposta era sempre la stessa: non si può, tocca aspettare.

Lockdown - Didattica a distanza

Stessa sorte (per certi versi, anche più gravida di conseguenze a medio-lungo termine) per gli studenti con gravi disabilità, che, con la scuola trasformata in didattica a distanza, sono spesso stati privati, di fatto, di un diritto costituzionale fondamentale. Senza contare che, per molti di loro, la scuola non era solo un’opportunità di apprendimento, ma anche di socializzazione con i coetanei. Ne avete sentito parlare nei decreti, nei telegiornali, nelle lunghe ore di approfondimento (o supposto tale) sul tema del momento, ne avete letto sui quotidiani o sui siti non “di settore”? Io, praticamente mai.

Lockdown - Distanziamento sociale

Per contro, una cosa della quale si è parlato per tutta la durata del lockdown e si parla tuttora fin troppo è il famigerato “distanziamento sociale“. A me, che con le parole lavoro da sempre, quest’espressione ha fatto venire la pelle d’oca fin dalla prima volta in cui l’ho sentita. Ok, per ridurre al minimo le possibilità di diffusione di un virus particolarmente aggressivo e ancora per molti versi sconosciuto, è raccomandabile mantenere una certa distanza fisica. Ma  il concetto di “distanziamento sociale” va oltre la mera distanza fisica, associando ad essa l’idea che ci si debba tenere lontani anche emotivamente dalle altre persone.

Personalmente, ritengo questa visione delle cose molto pericolosa, in generale per tutti, ma in particolare per chi già prima della pandemia e del lockdown si sentiva (e, spesso, era di fatto) “socialmente distante” dagli altri, a causa di barriere architettoniche e culturali. Credo che, invece, ora più che mai serva essere “socialmente vicini“, anche se (temporaneamente) fisicamente distanti. Mi auguro che la “nuova normalità” che, spero, costruiremo insieme non dimentichi di essere attenta anche a coinvolgere fin da subito, e da protagoniste attive,  anche le persone con disabilità. Ma dipende anche da noi e dalla nostra disponibilità a non farci dimenticare e ad impegnarci in prima persona, mettendoci la faccia e l’impegno attivo, ciascuno secondo le proprie possibilità e capacità.

Solo così potremo dire davvero che “andrà tutto bene“. Buona ripartenza!

Svezia: una vacanza “a tutta accessibilità”!

Abbiamo già sottolineato più volte, parlando di turismo accessibile a chi ha una disabilità motoria o sensoriale, come il Nord Europa rappresenti, in questo senso, una sorta di “isola felice”, grazie ad una sensibilità radicata verso questi temi, che si è tradotta, negli anni, in misure che puntano a favorire accessibilità e integrazione sociale delle persone con disabilità. Non fa eccezione la Svezia, tappa del nostro viaggio accessibile di oggi.

L'aurora boreale in Svezia

L’aurora boreale in Svezia

Partiamo dalla capitale, Stoccolma, la “Venezia del Nord”, costruita su quattordici isole, che coniuga modernità e architettura classica, riuscendo ad accontentare tutti i gusti. Spostarsi in città coi mezzi pubblici è semplice anche per chi ha una disabilità, grazie ad una rete metropolitana praticamente accessibile al 100%, autobus urbani dotati di pedane ribassate e rampe che consentono di salire e scendere in sicurezza in ogni situazione, nonché segnalazioni acustiche e luminose per chi ha disabilità sensoriali (per maggiori dettagli, potete consultare il sito del servizio di trasporto pubblico di Stoccolma, dove troverete anche i recapiti telefonici da utilizzare per richiedere informazioni o servizi più specifici). Cosa vedere nella capitale della Svezia? Beh, per prima cosa, il magnifico palazzo reale a Gamla Stan, la città vecchia, al quale sono stati aggiunti accorgimenti (ascensore per accedere ai piani superiori, percorsi ad hoc per i visitatori con disabilità, etc.). Ma anche musei per tutti i gusti, teatri e quant’altro. E l’accessibilità? Per quanto riguarda i musei, potete verificare se quello che v’interessa è adatto alla vostra disabilità specifica consultando il sito stockholmmuseums.se, disponibile anche in inglese, che riporta indicazioni precise sull’accessibilità di ciascuno. Ci si può anche dedicare agli sport invernali, richiedendo gli appositi servizi dedicati o fare un tour delle isole dell’arcipelago di Stoccolma, contattando le aziende che offrono questo servizio per concordare l’assistenza necessaria.

Svezia - Stoccolma

Stoccolma

Parlando di Svezia ed accessibilità, non si può dimenticare Göteborg, che si è aggiudicata il premio di città più accessibile d’Europa nel 2013, grazie non solo ai servizi per i turisti ma, soprattutto, ad una politica di inclusione reale delle persone con disabilità, tramite politiche (in materia di lavoro, abitazioni, eliminazione delle barriere architettoniche) che ne favoriscono l’indipendenza e l’autonomia.

Göteborg

Göteborg

Perché visitare la Svezia, quindi? Beh, l’elenco delle motivazioni potrebbe essere, virtualmente, infinito, come avete visto: dai paesaggi mozzafiato alle bellezze architettoniche delle sue città, c’è solo l’imbarazzo della scelta! Poi, se si può fare senza troppi patemi d’animo per l’accessibilità, ancora meglio, no?

Specialisterne: la diversità come risorsa

Stella Arcà - Specialisterne

Stella Arcà, Business & Marketing Manager di Specialisterne Italia

A settembre, sono stata invitata alla presentazione del nuovo numero del magazine “Divercity”, che ospitava, tra i vari articoli, l’intervista che avevo rilasciato ad Elena Belloni sul tema disabilità e lavoro. In quell’occasione, ho potuto conoscere varie aziende ed associazioni impegnate sul fronte dell’inclusione a tutti i livelli e in tutti i campi. Tra le tante, quella che mi ha colpita di più è stata Specialisterne, azienda che si occupa di formare e aiutare persone con disturbi dello spettro autistico o sindrome di Asperger a trovare lavoro ed inserirsi efficacemente in azienda. Così, finita la presentazione, mi sono subito messa in contatto con Stella Arcà, Business & Marketing Manager della sede italiana, chiedendole di raccontare a Move@bility qualcosa di più sull’azienda per la quale lavora. Ed ecco la nostra chiacchierata.

Com’è nata l’idea di dare vita a Specialisterne?

Grande tenacia, estrema precisione e ottima memoria sono abilità preziose per il settore IT, nonché naturalmente presenti nelle persone con disturbo dello spettro autistico. Thorkil Sonne, impiegato in un’azienda informatica in Danimarca, se ne rese conto per la prima volta nel 2004, quando, di ritorno da un viaggio in Europa con la famiglia, vide il figlio con sindrome di Asperger disegnare in autonomia la cartina stradale, completandola con 150 caselle e 500 caratteri alfanumerici senza avere l’originale sotto gli occhi. Profondamente colpito, Sonne decise di puntare tutto su questo incredibile potenziale inespresso: è così che chiese le dimissioni, mise un’ipoteca sulla casa e fondò Specialisterne, “Gli Specialisti” in danese, un’agenzia per il lavoro con l’obiettivo ambizioso di valorizzare le grandi capacità delle persone con autismo e dar loro un concreto futuro lavorativo.

Quali servizi offre l’azienda ai candidati con autismo?

Specialisterne offre un percorso formativo di quattro mesi full-time, completamente gratuito e personalizzato, al fine di creare un profilo specifico e in linea con le esigenze aziendali del settore amministrativo e dell’information technology. La formazione persegue due obiettivi: tecnico, con l’insegnamento di nozioni come software testing e strumenti specifici utili al lavoro, e socio-lavorativo, con colloqui individuali e di gruppo per aiutare la risorsa nelle difficoltà e abituarla ad un contesto lavorativo. L’obiettivo principale del corso è offrire alla risorsa una carriera professionale. Una volta che la risorsa viene inserita, la figura del tutor diventa un ponte con l’azienda e regola tutti gli adattamenti necessari per garantire qualità e rendimento di ottimo livello.

Come avviene il contatto con le aziende potenzialmente interessate ad assumerli?

Ci rivolgiamo principalmente alle Risorse Umane delle aziende per offrire i nostri talenti. A volte, ci contattano direttamente perché hanno letto di noi su qualche articolo o ci hanno conosciuto ad un evento, altre volte li contattiamo noi direttamente, offrendo l’opportunità di fare parte di questo progetto di diversità e inclusione.

Da quanto tempo Specialisterne opera in Italia e quante persone ha aiutato a trovare un lavoro, finora?

Siamo presenti in italia da 2 anni e, fino ad adesso, abbiamo aiutato 25 persone con autismo a iniziare una carriera professionale presso 8 clienti diversi. come Everis o Flex.

Un consulente Specialisterne al lavoro

Un consulente Specialisterne al lavoro

In quali settori operano le aziende alle quali proponete i lavoratori che si rivolgono a voi?

Collaboriamo con tutte le aziende che hanno bisogno di servizi informatici o amministrativi. Principalmente, quindi, si tratta di aziende operanti nel settore dell’information technology, ma abbiamo anche clienti del settore bancario, farmaceutico, assicurativo che hanno bisogno dei nostri talenti.

Una volta inserito il lavoratore in azienda, come si svolge l’attività di supporto?

L’inserimento del consulente in azienda è una prima tappa importante di un percorso che si articola strada facendo. Il coach ogni settimana incontra il consulente, il manager e il team, supporta i vari attori con l’importante obiettivo di accompagnare il consulente nella propria carriera lavorativa, contribuendo a creare nell’ambiente circostante una sempre maggiore consapevolezza, fornendo strumenti alle parti che permettano la realizzazione di un percorso che risulti funzionale per tutti.

Come possono contattarvi i candidati interessati o i loro familiari? 

Possono contattarci inviando una mail a contatto.it@specialisterne.com, in modo che in base alla persona, alla richiesta e alla situazione vengano ricontattati dalla persona di riferimento del nostro Team, che provvederà a fornire tutte le informazioni utili.

Quali sono i principali motivi di “resistenza” da parte delle aziende, quando proponete loro di assumere persone con autismo?

Il principale motivo di resistenza è la paura, poiché l’autismo è ancora poco conosciuto e ci sono molti stereotipi a riguardo. Cambiare la percezione dell’autismo fa parte della nostra missione ed è , per noi, una sfida molto importante, sulla quale lavoriamo ogni giorno.

In che modo siete riusciti a far superare loro queste resistenze?

Molte volte proponiamo alle aziende d’iniziare con piccoli inserimenti di una o due risorse e testare i loro talenti, in modo tale che si possano rendere conto da sole delle loro capacità. La maggior parte delle volte in cui abbiamo iniziato con un inserimento, l’azienda cliente ci ha richiesto sempre più risorse dopo un anno, dato il successo del progetto.

Un consulente Specialisterne al lavoro

Un consulente Specialisterne al lavoro

Puoi raccontarci un “caso di successo” a cui tenete in particolare?

Everis è l’azienda in Italia che ha assunto più persone con autismo attraverso Specialsterne. Ad oggi, la collaborazione con Everis ha aiutato 11 persone ad iniziare un percorso professionale. I manager affermano che l’inclusione di queste persone ha consentito all’azienda di cambiare la cultura aziendale. Le differenze sono azzerate, nel rispetto delle singole particolarità e nella valorizzazione della neurodiversità.

Guardando più in generale alla società, cosa si può fare, secondo voi, per riuscire a far cambiare la percezione- quasi sempre distorta- dei disturbi dello spettro autistico? 

Abbiamo bisogno che la società sia più informata sull’autismo: è per questo motivo che lavoriamo sulla consapevolezza delle aziende parlando con i loro dipendenti. Inoltre, le persone che collaborano con i nostri lavoratori possono vedere che le persone con autismo possono lavorare con un alto livello di qualità.

Quale consiglio daresti ad una persona con autismo che si rivolge a Specialisterne per trovare lavoro? 

Più che consigli cerchiamo di fornire costantemente feedback concreti e individuali su vari aspetti, dai comportamenti, ai punti di forza e critici, con focus sugli aspetti socio-lavorativi, perché spesso il feedback è ciò che manca a queste persone nelle precedenti esperienze formative e lavorative. E con la persona proviamo ad elaborare strategie ad hoc, che puntino alla crescita personale e professionale.

 

Grazie ancora a Stella Arcà per la disponibilità e in bocca al lupo a Specialisterne per questa missione davvero importante!

V.I.S.O.: un progetto di condivisione e inclusione

Uno dei motivi per cui ho creato Move@bility è far conoscere quanto già esiste e “funziona”, quando parliamo di accessibilità e inclusione. Questo è, per l’appunto, il caso del progetto V.I.S.O. (acronimo che sta per Viaggiamo Insieme Superiamo Ostacoli), nato a Padova nel 2018 da un’idea del Centro Studi l’Uomo e l’Ambiente e finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. L’obiettivo principale del progetto è favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità fisica o cognitiva, attraverso il viaggio e la condivisione di esperienze culturali e ricreative, al momento in giro per Padova, ma con l’ambizione di estendersi, gradualmente, in tutta Italia.

V.I.S.O. - Foto di gruppo durante un'uscita

Foto di gruppo durante un’uscita

cosa fa, in concreto, v.i.s.o.?

I responsabili del progetto V.I.S.O. organizzano e propongono uscite, escursioni e esperienze per conoscere nuovi luoghi e persone, fare sport e divertirsi in compagnia in modo accessibile a tutti e tutte. Preparano schede-guida pratiche e realizzano percorsi personalizzati, tarati sulle esigenze specifiche dei partecipanti, per la visita di musei, monumenti, palazzi, chiese, parchi, piazze e conoscere arte, storia, vita sociale e costumi. Sia sulle guide che nei percorsi,  vengono segnalate le barriere architettoniche (per esempio, la presenza e l’altezza di eventuali gradini, per agevolare la scelta di chi si muove in sedia a rotelle o con altri ausili) ed eventuali altre particolarità, per esempio rumori intensi o ambienti ad alta probabilità di affollamento, in modo tale da consentire alle persone particolarmente sensibili a queste situazioni (per esempio, soggetti con disabilità sensoriali o con disturbi dello spettro autistico) di evitare sorprese spiacevoli una volta sul luogo o, eventualmente, scegliere percorsi alternativi.

Tutte le uscite organizzate vengono segnalate con largo anticipo sia sul sito del progetto V.I.S.O. che sui suoi canali social. Tra le attività proposte rientrano anche occasioni per dedicarsi ad attività sportive e ricreative, ma soprattutto per socializzare. Aspetto, questo, particolarmente importante per chi, in virtù della propria condizione o della situazione nella quale vive, è ad alto rischio di isolamento.

V.I.S.O. - Sport

Un momento di condivisione incentrato sullo sport

Vi piace l’idea del progetto V.I.S.O.? Potete sostenerlo anche economicamente, attraverso una donazione su Rete Del Dono. Volete maggiori informazioni sul progetto o su come partecipare alle prossime uscite organizzate? Potete contattare i responsabili del progetto attraverso i canali indicati sul sito. Nelle vostre città ci sono iniziative simili? Se sì, segnalatemele via mail e sarò felice di condividerli e farli conoscere su Move@bility: in fondo, è proprio così che sono venuta a conoscenza del progetto V.I.S.O.! 🙂

 

Baskin: quando l’inclusione va a canestro

Se seguite Move@bility da un po’ (o se avete spulciato tutti gli articoli del sito), probabilmente avete intuito una delle mie più grandi passioni: il basket! Quando ormai pensavo di dovermi accontentare di guardarlo alla tv o sugli spalti dei palasport, ho scoperto l’esistenza del baskin, una variante del basket che, fin dallo stesso nome, mette insieme le regole e lo spirito tipico dello sport della palla a spicchi e l’inclusione. Le squadre di baskin, infatti, sono costituite da persone normodotate e con disabilità di tipo e grado diverso, che giocano insieme indipendentemente da sesso ed età, ciascuno secondo le proprie possibilità, con l’obiettivo tipico del basket: segnare un canestro in più rispetto all’avversario.

com’è nato il baskin?

Il baskin è stato inventato nel 2003 a Cremona dall’ingegnere Antonio Bodini e dall’insegnante di educazione fisica Fausto Capellini in un contesto scolastico, con l’obiettivo di dare a tutti la possibilità di esprimersi al meglio e di contribuire al successo finale della squadra. Mettere insieme nella stessa squadra persone di età, condizione e sesso diverso permette di realizzare un’effettiva inclusione, superando il pietismo tipico di un certo modo di rapportarsi alla disabilità. Da allora, questo sport si è diffuso a livello nazionale, attirando un numero crescente di persone di ogni età.

le regole del gioco

Le regole del baskin sono le stesse del basket “tradizionale”, con alcune varianti in più, che aiutano a garantire a tutti la possibilità di giocare. Per esempio:

  • I canestri sono 4 perché ai due tradizionali se ne aggiungono altrettanti, più piccoli, sui lati
  • I giocatori in campo per ciascuna squadra non sono 5, ma 6 e ciascuno ha la possibilità di ricoprire un ruolo compatibile con le proprie capacità fisiche e con la propria dimestichezza col gioco e, parallelamente, di marcare ed essere marcato da un avversario di pari ruolo (e, quindi, condizione)
  • Ai giocatori che ne hanno bisogno è possibile assegnare un tutor, vale a dire un altro membro della squadra che può aiutarlo nelle azioni di gioco
Campo da baskin

Un campo da baskin – Di Giamaico – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=72156422

Ma il baskin non è utile solo agli atleti con disabilità. Infatti, tutti i componenti della squadra imparano ad inserirsi in un gruppo eterogeneo e ad organizzarsi di conseguenza, valorizzando le possibilità di ciascuno e vedendo le rispettive diversità come elementi arricchenti, non penalizzanti.

Campus Party: digitale, innovazione e diversità

Il 27 luglio scorso, ho avuto il piacere e l’onore di partecipare in veste di speaker alla Job Factory organizzata da HRC Digital Generation nell’ambito della terza edizione italiana di Campus Party, un evento globale incentrato su innovazione e creatività e rivolto, principalmente, a giovani, community, università, aziende e istituzioni che, per giorni, hanno la possibilità di confrontarsi e costruire insieme il futuro, utilizzando la tecnologia come strumento per cambiare il domani, in maniera consapevole e responsabile. Il tema dell’edizione 2019, che si è svolta a Milano dal 24 al 27 luglio, è stato “Diventa Div3rso” : qui sotto, una delle immagini utilizzate sui social per pubblicizzare l’evento.

Campus Party 2019 - Frida Kahlo

Quale migliore occasione, quindi, per presentare “ufficialmente” Move@bility, parlando in particolare di inclusione lavorativa e, quindi, sociale delle persone con disabilità? Qui sotto, potete vedere la registrazione video del mio intervento, col quale, tra l’altro, inauguro anche il canale YouTube di Move@bility.

È stato davvero emozionante ed arricchente poter incontrare a Campus Party un pubblico di giovani interessati, che hanno ascoltato con attenzione il mio intervento e condiviso il proprio punto di vista su un tema centrale, ma ancora spesso trascurato anche quando si parla di diversity. Spero di essere riuscita a trasmettere loro l’idea che, poi, è alla base anche di Move@bility: al di là delle rispettive diversità e specificità, siamo tutti persone e, come tali, abbiamo la stessa dignità, gli stessi diritti e, ovviamente, gli stessi doveri. E non solo in ambito lavorativo.

Curiosi di vedere per intero la presentazione che ho condiviso in occasione di Campus Party? Eccovi accontentati! 🙂

Spero di avere altre occasioni per confrontarmi su questi temi con un pubblico “misto”, non necessariamente costituito da persone direttamente interessate. Perché credo che una vera “cultura della disabilità” possa affermarsi solo coinvolgendo la società nel suo complesso, non limitandosi a guardare al proprio “orticello”. Voi che ne pensate?

“Diritti e inclusione delle persone con disabilità”

Vi interessano temi quali l’inclusione e, in generale, i diritti delle persone con disabilità? Vi piacerebbe fare di questa passione un lavoro o la vostra specializzazione professionale? Se avete risposto sì a queste domande, potrebbe interessarvi il corso di perfezionamento “Diritti e inclusione delle persone con disabilità” organizzato anche nel 2019 dall’Università degli Studi di Milano (Dipartimento di diritti pubblico italiano e sovranazionale) col patrocinio del Comune di Milano e di LEDHA, l’associazione che da 40 anni si batte per i diritti delle persone con disabilità.

"Diritti e inclusione delle persone con disabilità"

Il corso di perfezionamento “Diritti e inclusione delle persone con disabilità” si rivolge ad avvocati, magistrati, professionisti dell’ambito sociosanitario, operatori della pubblica amministrazione che lavorano nel settore dei servizi sociali, addetti delle associazioni, delle fondazioni e delle ONG, addetti delle agenzie di lavoro interinale, nonché a tutti i professionisti che, per ragioni diverse, lavorano in ambiti legati al settore della disabilità e a tutti i laureati che sono interessati a specializzarsi in questo settore.

Il tema dell’inclusione e dei diritti delle persone con disabilità è sempre più sentito, fortunatamente. Ma, come spesso accade, una normativa decisamente complessa ed articolata non agevola l’applicazione pratica di quanto fissato nei principi di legge. Di conseguenza, l’obiettivo principale del corso di perfezionamento “Diritti e inclusione delle persone con disabilità” è quello di aiutare chiunque voglia operare in quest’ambito ad avere un quadro il più esaustivo possibile dell’argomento e della relativa normativa. Si passerà, quindi, dall’esame della percezione socio-culturale del fenomeno all’analisi delle diverse tipologie di disabilità al fine di comprendere i principali problemi connessi a ciascuna di esse, per poi passare all’approfondimento del diritto antidiscriminatorio e dei principi giuridici che regolano la materia. I cinque moduli seguenti saranno invece dedicati all’analisi delle problematiche che riscontrano le persone con disabilità in diversi contesti: nella società, nella famiglia, nelle scuole, nel mondo del lavoro, in ospedale e in carcere. Il tutto, adottando un approccio multidisciplinare, che consentirà di acquisire conoscenze non solo tecnico-giuridiche, ma anche medico, socio-pedagogiche e psicologiche.

Il corso, della durata complessiva di 50 ore, si terrà dal 1° febbraio al 17 maggio 2019, con la possibilità di seguire parte delle lezioni in modalità e-learning. La quota di partecipazione è di € 416,00 e le domande di ammissione dovranno pervenire entro le 14:00 del 10 gennaio 2019, secondo le modalità specificate nel bando che potete trovare sul sito dell’ateneo milanese.

Volete saperne di più? Consultate la locandina!

“Vorrei ma non posso”: tra sogni e barriere

Verona: la città di Romeo e Giulietta, affascinante, ricca di arte, storia e magia.  Pensate che bello girare per le sue strade, assaporarne la bellezza, concedersi una pausa in un bar o fare shopping nei negozi del centro… Ma Verona è accessibile per chi ha problemi di mobilità? A questa domanda hanno provato a rispondere Alessia Bottone e Valentina Bazzani, rispettivamente autrice/regista e protagonista “seduta” del documentario “Vorrei ma non posso: quando le barriere architettoniche limitano i sogni“, che descrive una giornata di Valentina, giornalista con disabilità, in giro per la sua città, Verona per l’appunto, tra barriere architettoniche e non solo.

Vorrei ma non posso” è stato presentato a settembre e visto da migliaia di persone, me compresa. Visto che l’ho trovato decisamente interessante, ho deciso di mettermi in contatto con Alessia e Valentina per farmi raccontare direttamente da loro com’è nato questo interessante (ed utilissimo!) progetto.

-Com’è nata l’idea di “Vorrei ma non posso”? 

Alessia Bottone - "Vorrei ma non posso"

Alessia Bottone

ALESSIA – Mi occupo da tempo, anche per lavoro, di diritti umani ed esperienze familiari mi hanno portato ad essere  particolarmente sensibile a temi quali autonomia e accessibilità riferiti alle persone con disabilità. Due anni fa, ho presentato una bozza del documentario al premio per Giovani Giornalisti Massimiliano Goattin, ottenendo un finanziamento che mi ha consentito di passare all’azione. Nel frattempo, ero entrata in contatto, attraverso Facebook, con Valentina, leggendo un suo post sull’ennesima discriminazione in ambito lavorativo che lei aveva subito. Dal virtuale, siamo presto passate al reale (viviamo entrambe a Verona e questo ci ha facilitato le cose) e abbiamo iniziato a girare il documentario, con la collaborazione di Elettra Bertucco, che ha realizzato le riprese.

-Qual è stata la difficoltà più grossa che avete dovuto affrontare durante la realizzazione di “Vorrei ma non posso”? 

Valentina Bazzani - "Vorrei ma non posso"

Valentina Bazzani

VALENTINA – Barriere architettoniche di ogni tipo: dai gradini che, per chi come me si muove su una sedia a rotelle e ha un’autonomia molto limitata, rappresentano un limite spesso insuperabile, alla mancanza di scivoli sui marciapiedi o di pedane (anche rimovibili) per accedere a negozi ed esercizi pubblici. Per non parlare, all’interno dei negozi d’abbigliamento, della mancanza di camerini con porte scorrevoli, che, di fatto, obbligano chi è su una sedia a rotelle a provare i vestiti davanti a tutti, con buona pace della privacy… Ma, soprattutto, le barriere culturali: stereotipi e cliché sulle persone con disabilità sono ancora troppo radicati nel nostro Paese.  Il nostro sogno è quello di una vita alla pari, perciò a tutti vanno garantiti gli stessi diritti ed opportunità, perché ciascuno possa mostrare risorse, peculiarità e potenzialità. Purtroppo, in questo momento, non è così.

-Com’è stato accolto “Vorrei ma non posso”? Come reagiva la gente, mentre giravate?

A. – Durante le riprese, per non condizionarle, non abbiamo fatto riferimento al documentario con le persone coinvolte. Ovviamente, ne abbiamo pixelato i volti, per rispettarne la privacy. Per il documentario c’è stata un’accoglienza che, francamente, mi ha sorpresa: in genere, quando si affrontano questi temi, ci si ritrova (purtroppo) in pochi. Invece, sia durante la presentazione che in questi mesi, abbiamo notato un grande interesse verso il tema che abbiamo affrontato: segno che qualcosa si sta muovendo nella direzione giusta? 

-Cosa manca ancora per raggiungere la piena accessibilità, vale a dire spazi urbani pensati per adattarsi alle esigenze di tutti i cittadini (inclusi quelli con disabilità motorie – su sedia a rotelle e non- o sensoriali)?

V. – In questo momento,  per arrivare alla piena accessibilità manca, da una parte, il buon senso anche durante la fase della progettazione, lo sforzo di pensare agli spazi anche nell’ottica delle persone con disabilità o, ove possibile, di coinvolgerle direttamente. Ma anche la volontà, da parte delle istituzioni, di creare ambienti veramente accessibili a tutti, almeno negli spazi pubblici. Molto è stato fatto, ma molto resta da fare. Come persone con disabilità, possiamo continuare a sensibilizzare e diventare “protagonisti attivi”, mostrando che, con il nostro impegno e le nostre risorse, possiamo fare una vita normale. Non è semplice, soprattutto quando, a causa della propria condizione, si dipende dall’aiuto altrui. Ma è necessario.

-Cos’è cambiato dopo l’uscita del documentario, a Verona? 

A. – Verona è stata una delle prime città italiane ad adottare il PEBA, il Piano per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche. Certo, il passaggio dagli intenti all’applicazione pratica è più lento di quanto vorremmo e le ambiguità normative non aiutano: per esempio, il paradosso per cui, per dotare il proprio esercizio commerciale di pedana rimovibile si debba pagare una tassa per occupazione di suolo pubblico è, quanto meno, un controsenso, no?

-Quanto incidono le problematiche legate all’accessibilità sulla piena inclusione (sociale e lavorativa) delle persone con disabilità?

V. – Alle superiori, pur essendo più portata per le materie scientifiche, ho scelto un istituto tecnico perché era l’unico accessibile. Negli anni, le cose sono migliorate: la società è più inclusiva e c’è anche una crescente attenzione per gli spazi, perché siano accessibili e accoglienti. La difficoltà maggiore è ancora, prevalentemente, culturale: non è accettabile, nel 2017, che una persona con disabilità, professionista con un curriculum di tutto rispetto, sostenga infiniti colloqui e venga scartata solo a causa della propria disabilità! Tante sono state le battaglie per condurre una vita normale, studiare, laurearmi con il massimo dei voti, fare esperienze lavorative (a titolo gratuito) e poi mi vedo scartata? No, non ci sto. È veramente possibile una vita alla pari, piena e meravigliosa. Ma è necessario che istituzioni, associazioni facciano rete e facciano cultura, per creare una società veramente inclusiva.

presentazione di "Vorrei ma non posso"

Alessia e Valentina alla presentazione di “Vorrei ma non posso”

Grazie mille a queste due splendide donne per aver riacceso i riflettori su un tema per il quale non si fa ancora abbastanza per tradurre in pratica le intenzioni. Speriamo di vedere presto il sequel di “Vorrei ma non posso”. Magari, stavolta, dal titolo: “Vorrei…e posso!”

Diversity Day: aziende e lavoratori s’incontrano

Sappiamo tutti quanto, nonostante le leggi e le misure volte a favorire l’inserimento delle persone con disabilità nel mondo del lavoro, sia difficile per le cosiddette “categorie protette” risultare appetibili per le aziende, al di là delle agevolazioni fiscali. Perciò, è con piacere che vi parlo di un evento che ha proprio come obiettivo dichiarato quello di facilitare l’accesso al mercato del lavoro a persone con disabilità e appartenenti alle categorie protette attraverso il contatto diretto con i manager aziendali: il Diversity Day, un career day dedicato esclusivamente a questa categoria di profili professionali.

Diversity Day 2017

diversity day: l’evento

L’evento si svolge a cadenza annuale, a Roma e a Milano, per coprire tutto il territorio nazionale. La tappa milanese, quest’anno, si terrà martedì 5 giugno, dalle 9:00 alle 15:00, presso l’Università Bocconi, nell’edificio di via Guglielmo Röntgen 1.

Nel corso della giornata, sarà possibile non solo incontrare i rappresentanti delle aziende, ma anche recruiter qualificati, ai quali chiedere consigli su come strutturare un curriculum efficace o per prepararsi ad un colloquio di lavoro. Inoltre, per le persone sorde, sarà possibile avvalersi (previa prenotazione inviando una mail a info@diversityday.it) del supporto di un interprete LIS.

La partecipazione al Diversity Day è gratuita, previa registrazione (potete farla qui). I partecipanti all’evento – che anche stavolta è patrocinato da Jobmetoo- potranno incontrare i rappresentanti di molte aziende prestigiose, dei settori più disparati: da Accenture a A2A, da Bayer a Capgemini, da Generali a Intesa San Paolo, solo per fare alcuni esempi (trovate l’elenco completo sul sito dell’evento).

DIVERSITY DAY: IL PROGETTO

Ma il Diversity Day non finisce coi career day. L’obiettivo del progetto viene perseguito per tutto l’anno, attraverso una serie di servizi integrati, che vanno dalla diffusione di opportunità professionali rivolte a persone con disabilità e categorie protette al tutoraggio, dal supporto su adempimenti burocratici e agevolazioni fiscali alla formazione finanziata.

Diversity Day il progetto

Un’iniziativa importante, quindi, che ci auguriamo possa crescere, coinvolgere sempre più aziende e supportare efficacemente l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, non solo in posizioni “basse”, ma anche in ruoli di maggiore responsabilità. Perché disabilità non significa necessariamente incapacità  e l’accesso a lavori qualificati e qualificanti è essenziale, come abbiamo più volte ribadito, per l’effettiva inclusione sociale delle persone con disabilità.

Perciò, aggiornate i CV, iscrivetevi al Diversity Day e  in bocca al lupo!