Ricordate il bellissimo film del 1986 con William Hurt e Marlee Matlin, che racconta la storia d’amore tra un insegnante che lavora in un istituto per sordi e una ragazza, per l’appunto sorda, dello stesso istituto?
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Bella storia, certamente, ma, a 30 anni di distanza, molte cose sono cambiate. Le persone sorde non vivono più “nell’ombra”, ma chiedono -giustamente- di far attivamente parte della società civile.
Perché ciò avvenga realmente, però, è essenziale dare attuazione pratica a principi fissati, ad oggi, solo sulla carta o poco più. Per esempio, l’obbligatorietà della presenza, almeno negli uffici ed enti pubblici, di una figura fondamentale per consentire alle persone sorde (e non “sordomute”, che si è erroneamente detto per troppi anni, visto che, nella stragrande maggioranza dei casi, l’handicap riguarda solo l’udito e la difficoltà di articolazione manifestata da alcuni soggetti, sordi dalla nascita o dalla primissima infanzia, ne è solo la naturale conseguenza): l’interprete LIS (Lingua dei Segni Italiana).
Associazioni come l’ENS (Ente Nazionale Sordi) e l’ANIOS (Associazione Interpreti di Lingua dei Segni Italiana) si battono da tempo per il riconoscimento dell’imprescindibile presenza di questa figura professionale presso ospedali, uffici pubblici e studi privati, scuole ed università, ma anche in luoghi di aggregazione come cinema, teatri ed impianti sportivi, per consentire alle persone sorde di comunicare con chi non conosce la loro “lingua naturale” e di comprendere a pieno ciò che succede intorno a loro.
Esistono anche vari casi d’inserimento della LIS nei programmi d’insegnamento di alcune scuole o classi, magari per favorire l’integrazione di studenti sordi. Che bello sarebbe se questa, che è una vera e propria lingua con alfabeto e regole grammaticali precise e codificate, venisse insegnata ovunque, con dignità pari all’italiano, all’inglese e a tutte le altre lingue straniere che, giustamente, studiamo!