Premetto che non sono una grande fan del Festival di Sanremo, né dei varietà in generale. Tuttavia, oggi ne parlo perché nell’edizione di quest’anno si è parlato anche di disabilità, in una delle serate, con ben due interventi “a tema”: il monologo dell’attrice Antonella Ferrari e il siparietto fra Zlatan Ibrahimovic e Donato Grande, bomber della nazionale italiana di power-chair football. Due momenti diversi tra loro, sia per il “format” che per lo stile: da un lato, il monologo di Antonella Ferrari, incentrato sulla sua malattia (la sclerosi multipla) e sul racconto del percorso che l’ha portata ad avere, dopo anni, la diagnosi definitiva; dall’altro, il “duetto” fra il campione del Milan e il suo collega “seduto”, con qualche scambio di palla a favore di telecamere. Ma, in entrambi i casi, guardando i video, ho trovato delle “stonature”, più o meno pronunciate”. Analizziamoli singolarmente, per capire meglio.
Antonella Ferrari si è presentata sul palco di Sanremo in un elegantissimo abito rosso, presentando un breve monologo, molto coinvolgente, nel quale ha raccontato il percorso verso la diagnosi e la sua conseguente felicità, perché, quando finalmente l’ha avuta, non ha più dovuto “nascondersi” (per la vergogna? Per paura del giudizio altrui?), per poi toccare il culmine nel finale: “La malattia non dev’essere la protagonista. Io non sono la sclerosi multipla: io sono un’attrice, sono Antonella Ferrari”. Verissimo e giustissimo, ma allora perché incentrare il monologo esclusivamente su quel tema? Per sensibilizzare, certo. Ma siamo sicuri che il messaggio arrivato agli spettatori sia stato, effettivamente, quello? A giudicare dai commenti che ho letto sui social il giorno dopo, non credo: ne lodavano tutti il coraggio, l'”esempio” e tutto il campionario della solita, trita e ritrita, retorica che circonda chi vive con una disabilità.
Ma questo è ancora “niente” in confronto a quanto si è visto quando sul palco è salito Donato Grassi, con Amadeus e Zlatan Ibrahimovic: lui in abbigliamento casual (e maglia da calcio d’ordinanza), in mezzo agli altri due elegantissimi (come l’occasione avrebbe richiesto); una situazione che, nel complesso, ricordava più l’interazione fra due adulti e un bambino (manco a dirlo, quello con disabilità…) che fra tre uomini maggiorenni e l’impressione complessiva che il tutto, più che un omaggio a Donato e alle sue doti sportive, fosse un modo per mettere in risalto il ben più celebre collega. Per non parlare di Amadeus che, partito, tutto sommato, bene, è scivolato in vari punti: dal riferimenti ai diritti di chi “soffre di disabilità” (la disabilità è una condizione, non una malattia…), ai “portatori di handicap“, alla ramanzina paternalista a quelli che, utilizzando i parcheggi riservati, creano problemi a chi ne avrebbe diritto (le sue parole sono state “leggermente” diverse…). Insomma, anche qui, la solita retorica…
Possibile che, nel 2021, non si riesca ancora a mostrare e raccontare le disabilità in un modo che sfugga al dualismo fra “supereroi” e “poveri cristi”? Eppure, sarebbe così semplice… Basterebbe ricordarsi che essere diversi è del tutto normale, non c’è bisogno di usare linguaggi e atteggiamenti infantili: basta il rispetto per le persone, insomma.
Ce la faremo? Spero di sì, nonostante tutto. “Perché Sanremo è Sanremo“…