Davvero “andrà tutto bene”? I “dimenticati” del lockdown

In questi circa tre mesi di “lockdown” (o blocco che dir si voglia) ho preferito restare in silenzio, almeno su Move@bility. Mi dicevo: “Che senso avrebbe parlare di libertà di movimento, in un momento in cui è richiesto a tutti di rinunciare, per l’appunto, alla libertà di movimento a causa di una pandemia?“. Questo periodo è stato complesso e pesante, sia fisicamente che psicologicamente, per mille motivi, anche per me come, in modi e per ragioni diverse, per ciascuno di noi. E proprio per questo temevo che spazi (questo sito, ma anche le sue estensioni social) che avevo pensato come luoghi di confronto, riflessione e mobilitazione “positiva” per creare insieme un mondo senza barriere potessero trasformarsi, in qualche modo, in altri “sfogatoi”, come se ne vedono, a mio avviso, fin troppi, online e non solo. Però, adesso che in Italia siamo ufficialmente entrati nella Fase-2, forse si può anche ricominciare a parlare di temi che, in questi mesi, sono rimasti decisamente sottotraccia.

Lockdown - silenzio

Per esempio, chi ha decretato il lockdown ha pensato a garantire, a volte con qualche problema iniziale, l’approvvigionamento di cibo e farmaci a domicilio per persone anziane o con disabilità impossibilitate ad uscire di casa o che si sono ritrovate senza il supporto di familiari e amici non conviventi. Ma non è stato fatto altrettanto per le terapie extra-farmacologiche: fisioterapia, terapia occupazionale e altri trattamenti specifici non sempre fruibili a domicilio o che, comunque, richiedono la presenza attiva di altre persone (i fisioterapisti, per fare un esempio)- Per molti (me compresa), queste terapie sono dei veri e propri “salvavita“. Eppure, la risposta era sempre la stessa: non si può, tocca aspettare.

Lockdown - Didattica a distanza

Stessa sorte (per certi versi, anche più gravida di conseguenze a medio-lungo termine) per gli studenti con gravi disabilità, che, con la scuola trasformata in didattica a distanza, sono spesso stati privati, di fatto, di un diritto costituzionale fondamentale. Senza contare che, per molti di loro, la scuola non era solo un’opportunità di apprendimento, ma anche di socializzazione con i coetanei. Ne avete sentito parlare nei decreti, nei telegiornali, nelle lunghe ore di approfondimento (o supposto tale) sul tema del momento, ne avete letto sui quotidiani o sui siti non “di settore”? Io, praticamente mai.

Lockdown - Distanziamento sociale

Per contro, una cosa della quale si è parlato per tutta la durata del lockdown e si parla tuttora fin troppo è il famigerato “distanziamento sociale“. A me, che con le parole lavoro da sempre, quest’espressione ha fatto venire la pelle d’oca fin dalla prima volta in cui l’ho sentita. Ok, per ridurre al minimo le possibilità di diffusione di un virus particolarmente aggressivo e ancora per molti versi sconosciuto, è raccomandabile mantenere una certa distanza fisica. Ma  il concetto di “distanziamento sociale” va oltre la mera distanza fisica, associando ad essa l’idea che ci si debba tenere lontani anche emotivamente dalle altre persone.

Personalmente, ritengo questa visione delle cose molto pericolosa, in generale per tutti, ma in particolare per chi già prima della pandemia e del lockdown si sentiva (e, spesso, era di fatto) “socialmente distante” dagli altri, a causa di barriere architettoniche e culturali. Credo che, invece, ora più che mai serva essere “socialmente vicini“, anche se (temporaneamente) fisicamente distanti. Mi auguro che la “nuova normalità” che, spero, costruiremo insieme non dimentichi di essere attenta anche a coinvolgere fin da subito, e da protagoniste attive,  anche le persone con disabilità. Ma dipende anche da noi e dalla nostra disponibilità a non farci dimenticare e ad impegnarci in prima persona, mettendoci la faccia e l’impegno attivo, ciascuno secondo le proprie possibilità e capacità.

Solo così potremo dire davvero che “andrà tutto bene“. Buona ripartenza!