Paralimpiadi di Rio 2016: bilancio più che positivo

Si sono appena concluse le Paralimpiadi di Rio de Janeiro, le 15° nella storia di questa manifestazione, ed è il momento di fare un bilancio.

Partita alla volta del Brasile con più di 100 atleti, la compagine azzurra torna a casa con un bottino più che lusinghiero: ben 39 le medaglie conquistate (10 ori, 14 argenti e 15 bronzi), che, per la prima volta negli ultimi 20 anni, hanno permesso all’Italia di entrare nella top 10 finale.

Un risultato eccezionale, merito dell’impegno, del talento e della grinta di atleti straordinari, che hanno tenuto inchiodati agli schermi di TV e computer migliaia di italiani, conquistati sia dalle gesta sportive che dalla carica umana irresistibile di persone come Bebe Vio, Alex Zanardi, Federico Morlacchi, Martina Caironi, Alvise De Vidi, Assunta Legnante, etc. Tanti uomini e tante donne, ciascuno con la propria storia personale e sportiva,  che si sono guadagnati, giorno dopo giorno uno spazio crescente anche sui media, tradizionali e non.

E proprio l’attenzione di TV, giornali e web è uno degli aspetti più positivi di quest’edizione delle Paralimpiadi. La RAI ha assicurato una copertura eccellente di tutta la manifestazione, sfruttando sia RAI 2 che RaiSport (canali visibili gratuitamente da tutti) e lo streaming sul web, per dare spazio non solo alle gesta degli atleti azzurri, ma anche alle gare più importanti di discipline nelle quali non erano impegnati atleti di casa nostra. La “Gazzetta dello Sport”, il più noto quotidiano sportivo a livello nazionale, ha dedicato un’intera sezione del proprio seguitissimo sito web alle gare delle Paralimpiadi di Rio. Anche i social media hanno riservato una grande attenzione alle imprese degli atleti paralimpici, esaltandone le gesta sportive e non solo.

Ma, al di là dello spazio riservato alle Paralimpiadi di Rio, l’aspetto, a mio parere, più importante è il registro utilizzato per raccontarle: niente toni lamentosi, niente sottolineatura morbosa delle disabilità specifiche dei vari atleti in gara. Sono state raccontate, innanzitutto, le loro gesta sportive, dando molto risalto anche alle personalità dei singoli. Uno dei ricordi indelebili di queste Paralimpiadi resterà, per me, l’urlo di Bebe Vio dopo aver conquistato, alla sua prima partecipazione alle Paralimpiadi, l’oro nel fioretto: l’esultanza (comprensibilissima) di una ragazza di 19 anni che sa di aver compiuto un’impresa importante. Niente di più, niente di meno.

Grazie a tutti gli atleti per questi giorni d’intense emozioni, che spero vivamente abbiano ricadute positive sulla quotidianità di tutte le persone disabili, in Italia e non solo.

Arrivederci a Tokyo tra 4 anni: chissà se Zanardi sarà anche lì?

Paralimpiadi di Rio 2016: una nuova visione della disabilità?

Dopo la suggestiva cerimonia d’apertura che si è svolta la notte scorsa, da oggi entrano nel vivo le gare delle Paralimpiadi di Rio de Janeiro, le 15° della storia. Fino al 18 settembre, più di 4.300 atleti provenienti da 176 Paesi si cimenteranno in 23 discipline. L’Italia si presenta con 101 atleti, tra i quali spiccano, per citarne alcuni, i nomi di Martina Caironi, Beatrice “Bebe” Vio, Alex Zanardi, Monica Contrafatto, Giusy Versace. Giulia Ghiretti.

Una manifestazione, i Giochi Paralimpici, il cui significato va oltre il semplice ambito sportivo, perché, come sottolineato dagli stessi atleti, si tratta di un’occasione per puntare i riflettori del mondo sulla disabilità, contribuendo all’affermazione di quella “cultura della disabilità” che ancora fatica ad essere compresa ed accettata pienamente.

Paralimpiadi Rio 2016Ma le Paralimpiadi sono anche un’occasione per riflettere sul modo in cui vengono presentati e “vissuti” gli atleti paralimpici. Soprattutto a partire da Londra 2012, sembra- fortunatamente- superata la visione “pietistica” che è stata pressoché dominante per decenni: i paralimpici non sono “sportivi minori”, ma atleti di tutto rispetto, che si allenano, gareggiano, battono record, etc.

Tuttavia, dietro l’angolo, a mio parere, c’è un altro rischio: quella che io chiamo la retorica dei “superuomini”, alla quale fa riferimento, a partire dal titolo, anche il suggestivo video realizzato dalla britannica Channel 4, l’emittente che trasmette le Paralimpiadi nel Regno Unito.

È giusto considerare “superuomini” (e “superdonne”) gli atleti paralimpici, solo perché gareggiano fronteggiando, oltre agli avversari, anche disabilità fisiche e sensoriali più o meno gravi? È “utile alla causa” della cultura della disabilità (di tutti, non solo degli atleti paralimpici) considerarli “super” o fonti d’ispirazione o non rischia, piuttosto, di creare un’ulteriore barriera tra noi persone disabili e gli altri, i “normali”?

Tom, la mascotte delle Paralimpiadi di Rio 2016Non sarebbe, forse, più corretto (e utile) descrivere le loro gesta sportive, esaltandole com’è giusto che sia, ma senza fare cenno ad una loro presunta “superiorità”? Certo, è indubbiamente utile, per chi fa i conti quotidianamente con una disabilità cronica di qualsiasi tipo, vedere altre persone nella sua stessa condizione (o in situazioni più gravi) che, anziché piangersi addosso, si mettono in gioco, sfidando i propri limiti. Ma non è proprio questo, vale a dire sfidare i propri limiti, che fanno anche gli sportivi “normali”? Perché sottolineare questo aspetto solo per gli atleti paralimpici?

Non mi stancherò mai di ripeterlo: le persone disabili non sono né migliori né peggiori rispetto alle altre. Le persone disabili sono, innanzitutto, persone. E come tali andrebbero raccontate. Sarà così anche a Rio 2016? Staremo a vedere e, ovviamente, a tifare!