Qual è il modo giusto d’interagire coi disabili? Come parlare con loro? La risposta a queste domande può sembrare ovvia, ma varie esperienze (personali e non) mi ricordano che non è poi così scontata…
Prendo spunto da una scena alla quale ho assistito ieri. Due adulti, nella sala d’attesa di un reparto di riabilitazione: una “normodotata” e un uomo con una grave disabilità in seguito ad un ictus. La persona “normale”, madre di un altro paziente, parla con l’uomo disabile (che, oltre ad essere su sedia a rotelle, è anche afasico, quindi riesce ad articolare con fatica parole di senso compiuto, ma è perfettamente lucido e consapevole di sé e degli altri), utilizzando delle parole e un tono di voce più adatti al dialogo con un bebè che con una persona adulta, quale è quella che si trova davanti, senza dimenticare di dargli un’affettuosa “grattatina” sulla testa, mentre parlano. Appena l’uomo in questione si allontana, la donna attacca bottone con me (anch’io in attesa della chiamata per la mia seduta): “Che tenero che è, Carlo (nome di fantasia, ndr)! Non è vero?”. Io mi mordo la lingua per non risponderle in maniera sgarbata: in fondo, è una donna gentile, che ha parlato in totale buona fede. Prima che lei possa continuare a parlare, il fisioterapista mi chiama e io, nella mia mente, lo ringrazio…
Se avessi avuto tempo e modo di risponderle con calma, ecco cosa le avrei detto. No, mia gentile signora, non penso che “Carlo” sia tenero. Né credo che lui punti ad apparire tale, quando cerca di fare due chiacchiere con altre persone. E’ un uomo adulto che, dopo un’esistenza perfettamente normale, s’è ritrovato, per puro caso, a dipendere in tutto e per tutto da altri, senza potersi neanche affidare alle parole per esprimere le proprie sensazioni e necessità, se non a costo di un’enorme fatica (e parecchio scoramento, vedendo l’espressione smarrita di chi non è abituato ad avere a che fare con un afasico). Non penso che “Carlo” (o qualsiasi altro disabile, a partire da me stessa) sia “tenero” o debba per forza di cose essere definito tale, Non perché siamo brutti, sporchi e cattivi (a volte, siamo anche quello, come tutti del resto). Semplicemente, perché non siamo né dei cuccioli, né dei “coccolosi” peluche, ma delle persone.
Quanti si rivolgerebbero ad un conoscente adulto non disabile parlandogli come se fosse un bambino di 2 anni, facendogli i “grattini” sulla testa e definendolo “tenero” parlandone con altri? Nessuno, direi. Allora, perché ci si sente autorizzati a farlo con una persona disabile? Perché non si riesce, semplicemente, a parlarle per quello che è, vale a dire una persona adulta e in possesso delle proprie facoltà mentali, anche se impedita nei movimenti (o in altri aspetti, a seconda della disabilità specifica)?
Anche se animati dalle migliori intenzioni, è bene ricordarsi che questo modo d’interagire coi disabili è sbagliato tanto quanto discriminarli e prenderli in giro con cattiveria (anche se, apparentemente, non fa alcun male, anzi!). Equivale a negare, in qualche modo, a quelle persone la dignità che, invece, si riconosce ad altre, semplicemente in virtù di una condizione di “diversità” più o meno transitoria. Così come è terribilmente doloroso sentirsi dire (col sorriso sulle labbra e con ammirazione sincera): “Che brava! Nonostante la tua disabilità, sei veramente una persona in gamba!”. E che c’è di strano? Che bisogno c’è di sottolineare sempre e comunque quel “nonostante“? Si dice forse a chi è alto, basso, grasso, magro, bruno o biondo che, “nonostante ciò“, è una persona in gamba? Cosa c’entrano i successi (e gli insuccessi) scolastici, professionali o di altro tipo di una persona con una sua caratteristica fisica?
Può darsi che una persona con disabilità, nella vita, si sia trovata a dover tirare fuori più grinta di altre, per affrontare le sfide quotidiane e conquistare i vari traguardi. Ma chi dice che, per questo, si consideri o voglia essere considerata “super” e non, semplicemente, come tutte le altre?
Ecco, quindi. Se mi chiedete quale sia, secondo me, il modo giusto d’interagire coi disabili e, nello specifico, con me, la mia risposta è: trattatemi come una persona, il resto viene da sé.