“La forma dell’acqua”: una favola sulle diversità

Se siete tra quelli (pochi) che non l’hanno ancora visto, spero di convincervi ad andare subito al cinema! Perché “La forma dell’acqua“, il film di Guillermo del Toro vincitore del Leone d’Oro alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia nel 2017 e di quattro Oscar solo un paio di mesi fa, racconta una storia difficile da dimenticare, che tocca le corde più profonde del cuore.

“La forma dell’acqua” è una favola ambientata nella Baltimora dei primi anni ’60, in piena guerra fredda. I protagonisti rappresentano varie diversità: Elisa, orfana resa muta dalla recisione delle corde vocali subita da bambina; Zelda, sua collega, afroamericana e addetta alle pulizie, come Elisa; Giles, l’anziano disegnatore pubblicitario omosessuale coinquilino di Elisa, discriminato sul lavoro. E poi, ovviamente, lui, il Deus Brânquia, la “forma” cui fa riferimento il titolo del film (e del romanzo che costituisce l’altra parte del progetto), venerato come un dio dalle popolazioni dell’Amazzonia e catturato e portato in catene nel laboratorio governativo in cui lavorano Elisa e Zelda, per studiarlo allo scopo di contrastare la Russia. Esseri emarginati che, fatalmente, s’incontrano e finiscono per costituire un gruppo affiatato, per quanto all’apparenza bizzarro.

La forma dell'acqua - Elisa e il Deus Brânquia

Elisa, che è riuscita ad instaurare un rapporto di muta complicità con la creatura, decide di fare di tutto per salvarla da un destino apparentemente segnato e, con l’aiuto di Giles, Zelda e di uno degli scienziati del laboratorio (che, in realtà, è una spia russa in incognito), riesce a portarla in salvo nel proprio appartamento. Qui, i due finiscono per innamorarsi, ma, prima del lieto fine, dovranno ancora superare vari ostacoli, in un crescendo di tensione ed emozioni.

Il finale de “La forma dell’acqua” (che non vi svelerò) è decisamente “da favola”, un po’ come il registro complessivo del film. Ciò nonostante, questa pellicola riesce, con delicatezza e poesia, a lanciare un messaggio potentissimo, nella sua semplicità: al di là delle nostre differenze, siamo tutti uguali, in fondo, e tutti degni di essere trattati (ed amati) con rispetto ed umanità.

“Io prima di te”: una storia d’amore e disabilità

Ci sono libri che lasciano indifferenti, altri che segnano per qualche tempo, altri ancora che cambiano la vita. A quest’ultima categoria, secondo me, appartiene “Io prima di te” di Jojo Moyes, una storia di amore e disabilità raccontata con delicatezza, ma senza sconti sulla durezza del quotidiano di chi vive la disabilità sulla propria pelle e delle persone che gli stanno accanto, o cercano di farlo.

"Io prima di te"

Io prima di te” ha come protagonisti Will Traynor, giovane manager rampante della City londinese reso tetraplegico da un incidente mentre attraversava la strada, e Louisa Clark, ragazza di provincia che, per una serie di circostanze, viene assunta per fargli da assistente “morale”. I due, apparentemente, non potrebbero essere più diversi. Lui, bello, ricco e di successo, rimpiange una vita vissuta al massimo, nel lavoro, nel tempo libero, nelle relazioni sentimentali e, non riuscendo a rassegnarsi ad averla persa per sempre, ha deciso di porre fine alla propria esistenza in una clinica svizzera. Lei, ragazza della middle class inglese, vissuta sempre nella piccola cittadina che ruota intorno al castello, all’ombra della sorella minore, bella, brillante e idolatrata dai genitori, che, invece, non perdono occasione per rinfacciare a Louisa la propria mediocrità e mancanza di ambizioni.

Eppure, gli ingranaggi del destino li mettono l’uno sulla strada dell’altra, quando i genitori di lui la assumono, nonostante lei manchi totalmente delle qualifiche necessarie per assistere un tetraplegico. Ma il suo ruolo non sarà quello di assistente (per questo, c’è già una persona qualificata), bensì quello di “motivatrice” di Will: da lei ci si aspetta che, con la propria parlantina e con l’entusiasmo, “contagi” l’uomo e lo faccia desistere dai propri propositi suicidi. Sulle prime, il rapporto tra i due è quasi inesistente, tra l’imbarazzo di lei e le frasi sprezzanti e denigratorie di lui. Ma, pian piano, tra loro si crea una complicità che, agli occhi di tutti, va ben oltre la semplice simpatia. Lei arriva anche a convincerlo a fare una vacanza in una località da sogno. Ma, quando tutto sembra ormai orientato al più hollywoodiano degli “happy end“, con i due che si baciano nella cornice romantica di una spiaggia esotica, la realtà ripiomba tra loro con tutto il peso della sua ineluttabilità, fino al finale che non vi svelerò, nel caso in cui non aveste letto il libro.

Will poteva essere felice, se era circondato dalle persone giuste, se gli veniva concesso di essere se stesso, invece dell’Uomo in Carrozzella, nient’altro che una serie di sintomi, oggetto di pietà

Quindi, che cos’è “Io prima di te“? Solo una storia d’amore da romanzo rosa, con in più il “dettaglio” della disabilità di lui? Una storia strappalacrime per chi ha voglia di piangere? No, è molto più di questo: una storia narrata a più voci, per mostrare il punto di vista di tutte le persone coinvolte, da Will e Louisa a Nathan, l’assistente sanitario, ai genitori di Will, alla sorella di Louisa. Una storia che racconta la quotidianità delle persone gravemente disabili, la fatica di convivere con la propria condizione ed accettare di dipendere in tutto e per tutto da altri, la difficoltà ad essere trattate con naturalezza da quelli che, nel romanzo, vengono chiamati “ND” (i normodotati), la paura di lasciarsi andare ai sentimenti e di essere un peso o un limite per i propri cari, compresi gli eventuali partner.

Ed è anche un’occasione per riflettere su un tema ancora tabù: l’eutanasia e il diritto per chi ha una malattia grave ed incurabile di porre fine alle proprie sofferenze in maniera dignitosa. Nelle pagine del romanzo, vengono affrontate le varie sfaccettature della questione, dando peso ai punti di vista dei soggetti coinvolti: il malato, la donna che lo ama, la famiglia, i medici, l’opinione pubblica.

Io prima di te” non è un incitamento a farla finita, a gettare la spugna. Tutt’altro. Ma è, prima di tutto, un’occasione per tutti per conoscere meglio la realtà delle persone disabili, il loro vissuto, le loro paure e i loro desideri. Un’occasione da non perdere anche al cinema, visto che tra pochi giorni uscirà il film. Intanto, io inizio a leggere il seguito!