Baskin: quando l’inclusione va a canestro

Se seguite Move@bility da un po’ (o se avete spulciato tutti gli articoli del sito), probabilmente avete intuito una delle mie più grandi passioni: il basket! Quando ormai pensavo di dovermi accontentare di guardarlo alla tv o sugli spalti dei palasport, ho scoperto l’esistenza del baskin, una variante del basket che, fin dallo stesso nome, mette insieme le regole e lo spirito tipico dello sport della palla a spicchi e l’inclusione. Le squadre di baskin, infatti, sono costituite da persone normodotate e con disabilità di tipo e grado diverso, che giocano insieme indipendentemente da sesso ed età, ciascuno secondo le proprie possibilità, con l’obiettivo tipico del basket: segnare un canestro in più rispetto all’avversario.

com’è nato il baskin?

Il baskin è stato inventato nel 2003 a Cremona dall’ingegnere Antonio Bodini e dall’insegnante di educazione fisica Fausto Capellini in un contesto scolastico, con l’obiettivo di dare a tutti la possibilità di esprimersi al meglio e di contribuire al successo finale della squadra. Mettere insieme nella stessa squadra persone di età, condizione e sesso diverso permette di realizzare un’effettiva inclusione, superando il pietismo tipico di un certo modo di rapportarsi alla disabilità. Da allora, questo sport si è diffuso a livello nazionale, attirando un numero crescente di persone di ogni età.

le regole del gioco

Le regole del baskin sono le stesse del basket “tradizionale”, con alcune varianti in più, che aiutano a garantire a tutti la possibilità di giocare. Per esempio:

  • I canestri sono 4 perché ai due tradizionali se ne aggiungono altrettanti, più piccoli, sui lati
  • I giocatori in campo per ciascuna squadra non sono 5, ma 6 e ciascuno ha la possibilità di ricoprire un ruolo compatibile con le proprie capacità fisiche e con la propria dimestichezza col gioco e, parallelamente, di marcare ed essere marcato da un avversario di pari ruolo (e, quindi, condizione)
  • Ai giocatori che ne hanno bisogno è possibile assegnare un tutor, vale a dire un altro membro della squadra che può aiutarlo nelle azioni di gioco
Campo da baskin

Un campo da baskin – Di Giamaico – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=72156422

Ma il baskin non è utile solo agli atleti con disabilità. Infatti, tutti i componenti della squadra imparano ad inserirsi in un gruppo eterogeneo e ad organizzarsi di conseguenza, valorizzando le possibilità di ciascuno e vedendo le rispettive diversità come elementi arricchenti, non penalizzanti.

“Pagaiando abilmente”: la canoa per tutti

Abbiamo parlato spesso dell’importanza dello sport nel processo d’inclusione delle persone con disabilità. Negli ultimi anni, si sono moltiplicate (per fortuna!) le iniziative che si pongono proprio il superamento delle barriere, architettoniche e culturali, attraverso la pratica sportiva, come obiettivo principale. Tra queste rientra anche “Pagaiando abilmente“, il progetto ideato dal Circolo Nautico “Teocle” di Giardini Naxos (ME), che, nei suoi 60 anni di storia, ha contribuito ad avvicinare molti giovani e giovanissimi alla pratica del canottaggio, vedendo riconosciuto tale impegno anche con la “Croce di Bronzo per i meriti sportivi”.

locandina "Pagaiando abilmente"

“Pagaiando abilmente” nasce dall’idea di avvicinare tutti i giovani alla pratica di questa disciplina, senza alcuna distinzione, per dare a tutti la possibilità di vivere pienamente il rapporto col mare, attraverso la pratica sportiva, con innumerevoli benefici in termini di sviluppo psico-fisico e, di riflesso, di contribuire fattivamente alla crescita della società nella quale vivono. E ciò sarà fatto non solo tramite corsi tenuti da istruttori formati per interagire anche con ragazzi con disabilità di vario genere, che si avvarranno di canoe e supporti adeguati alle esigenze specifiche dei vari praticanti, ma anche attraverso un processo di ristrutturazione della sede del circolo, che si trova sul mare di Giardini Naxos, per abbattere le barriere architettoniche e renderla pienamente accessibile.

Tutto ciò, però, ha dei costi non indifferenti. Per questo motivo, il progetto “Pagaiando abilmente” è tra quelli finanziabili attraverso il crowdfunding sulla piattaforma OSO – Ogni Sport Oltre promossa dalla Fondazione Vodafone proprio per far conoscere e sostenere progetti che vogliano diffondere la cultura dello sport e il valore sociale della pratica di una disciplina sportiva. Si può contribuire a finanziare il progetto donando una cifra dai 5 € in su attraverso la pagina dedicata a “Pagaiando abilmente” sul sito di OSO. Abbiamo a disposizione ancora poche settimane per aiutare il progetto a raggiungere l’obiettivo di raccogliere i 6.000 € necessari  per adeguare la pendenza della rampa di accesso alla spiaggia, realizzare un sistema meccanico di sollevamento, delimitare una piscina in mare aperto ed acquistare delle canoe adeguate alle esigenze di persone con disabilità. Ci proviamo?

OSO: oltre le barriere, la forza dello sport

Abbiamo già parlato tempo fa di quanto importante possa essere lo sport per chi convive con una disabilità, non solo come hobby, ma come mezzo per superare le barriere culturali e facilitare l’effettiva ed efficace inclusione sociale. Anche le Paralimpiadi di Rio dell’anno scorso hanno rappresentato un momento importante, in tal senso, dimostrando (se mai ve ne fosse bisogno) che anche chi ha una disabilità può essere un asso nello sport, se messo nelle giuste condizioni. Su questo principio si basa OSO – Ogni Sport Oltre, il progetto lanciato dalla Fondazione Vodafone Italia per promuovere e sostenere progetti ed iniziative che, attraverso lo sport, favoriscono l’inclusione delle persone con disabilità nel tessuto sociale. OSO Ogni Sport Oltre

 

Come ribadisce a più riprese il video ufficiale dell’iniziativa, la “parola d’ordine” di OSO è “Cambia la tua storia. Disabilita i tuoi limiti“, perché, come dimostrano anche le storie di molti volti noti (da Bebe Vio ad Alex Zanardi, e non solo) coinvolti nell’iniziativa, la differenza la fa anche il nostro atteggiamento, il modo in cui guardiamo alla nostra stessa condizione di disabilità e la decisione di “non lasciarla vincere” e trovare, comunque, il modo di vivere le nostre passioni (sportive e non solo) con qualche “aggiustamento”, ma con la stessa intensità degli altri.

OSO Diversamente Abili Ugualmente Sportivi

Come dite? Tutto vero e giusto, ma passare alla pratica è spesso difficile, se non impossibile, in primis perché non è facile reperire le informazioni su ciò che già c’è, magari anche a pochi km da casa nostra? Anche per questo è stato creato il sito OSO, sul quale non si trovano soltanto le storie di “chi ce l’ha fatta” o i nuovi progetti da finanziare (anche attraverso il crowdfunding), ma anche informazioni e una mappa per ricercare le strutture sportive più vicine a voi.

Insomma, non ci sono più scuse: pronti a “disabilitare i nostri  limiti”?

OSO - Volley

*Immagini tratte dal sito ufficiale di OSO – Ogni Sport Oltre

Paralimpiadi di Rio 2016: bilancio più che positivo

Si sono appena concluse le Paralimpiadi di Rio de Janeiro, le 15° nella storia di questa manifestazione, ed è il momento di fare un bilancio.

Partita alla volta del Brasile con più di 100 atleti, la compagine azzurra torna a casa con un bottino più che lusinghiero: ben 39 le medaglie conquistate (10 ori, 14 argenti e 15 bronzi), che, per la prima volta negli ultimi 20 anni, hanno permesso all’Italia di entrare nella top 10 finale.

Un risultato eccezionale, merito dell’impegno, del talento e della grinta di atleti straordinari, che hanno tenuto inchiodati agli schermi di TV e computer migliaia di italiani, conquistati sia dalle gesta sportive che dalla carica umana irresistibile di persone come Bebe Vio, Alex Zanardi, Federico Morlacchi, Martina Caironi, Alvise De Vidi, Assunta Legnante, etc. Tanti uomini e tante donne, ciascuno con la propria storia personale e sportiva,  che si sono guadagnati, giorno dopo giorno uno spazio crescente anche sui media, tradizionali e non.

E proprio l’attenzione di TV, giornali e web è uno degli aspetti più positivi di quest’edizione delle Paralimpiadi. La RAI ha assicurato una copertura eccellente di tutta la manifestazione, sfruttando sia RAI 2 che RaiSport (canali visibili gratuitamente da tutti) e lo streaming sul web, per dare spazio non solo alle gesta degli atleti azzurri, ma anche alle gare più importanti di discipline nelle quali non erano impegnati atleti di casa nostra. La “Gazzetta dello Sport”, il più noto quotidiano sportivo a livello nazionale, ha dedicato un’intera sezione del proprio seguitissimo sito web alle gare delle Paralimpiadi di Rio. Anche i social media hanno riservato una grande attenzione alle imprese degli atleti paralimpici, esaltandone le gesta sportive e non solo.

Ma, al di là dello spazio riservato alle Paralimpiadi di Rio, l’aspetto, a mio parere, più importante è il registro utilizzato per raccontarle: niente toni lamentosi, niente sottolineatura morbosa delle disabilità specifiche dei vari atleti in gara. Sono state raccontate, innanzitutto, le loro gesta sportive, dando molto risalto anche alle personalità dei singoli. Uno dei ricordi indelebili di queste Paralimpiadi resterà, per me, l’urlo di Bebe Vio dopo aver conquistato, alla sua prima partecipazione alle Paralimpiadi, l’oro nel fioretto: l’esultanza (comprensibilissima) di una ragazza di 19 anni che sa di aver compiuto un’impresa importante. Niente di più, niente di meno.

Grazie a tutti gli atleti per questi giorni d’intense emozioni, che spero vivamente abbiano ricadute positive sulla quotidianità di tutte le persone disabili, in Italia e non solo.

Arrivederci a Tokyo tra 4 anni: chissà se Zanardi sarà anche lì?

Paralimpiadi di Rio 2016: una nuova visione della disabilità?

Dopo la suggestiva cerimonia d’apertura che si è svolta la notte scorsa, da oggi entrano nel vivo le gare delle Paralimpiadi di Rio de Janeiro, le 15° della storia. Fino al 18 settembre, più di 4.300 atleti provenienti da 176 Paesi si cimenteranno in 23 discipline. L’Italia si presenta con 101 atleti, tra i quali spiccano, per citarne alcuni, i nomi di Martina Caironi, Beatrice “Bebe” Vio, Alex Zanardi, Monica Contrafatto, Giusy Versace. Giulia Ghiretti.

Una manifestazione, i Giochi Paralimpici, il cui significato va oltre il semplice ambito sportivo, perché, come sottolineato dagli stessi atleti, si tratta di un’occasione per puntare i riflettori del mondo sulla disabilità, contribuendo all’affermazione di quella “cultura della disabilità” che ancora fatica ad essere compresa ed accettata pienamente.

Paralimpiadi Rio 2016Ma le Paralimpiadi sono anche un’occasione per riflettere sul modo in cui vengono presentati e “vissuti” gli atleti paralimpici. Soprattutto a partire da Londra 2012, sembra- fortunatamente- superata la visione “pietistica” che è stata pressoché dominante per decenni: i paralimpici non sono “sportivi minori”, ma atleti di tutto rispetto, che si allenano, gareggiano, battono record, etc.

Tuttavia, dietro l’angolo, a mio parere, c’è un altro rischio: quella che io chiamo la retorica dei “superuomini”, alla quale fa riferimento, a partire dal titolo, anche il suggestivo video realizzato dalla britannica Channel 4, l’emittente che trasmette le Paralimpiadi nel Regno Unito.

È giusto considerare “superuomini” (e “superdonne”) gli atleti paralimpici, solo perché gareggiano fronteggiando, oltre agli avversari, anche disabilità fisiche e sensoriali più o meno gravi? È “utile alla causa” della cultura della disabilità (di tutti, non solo degli atleti paralimpici) considerarli “super” o fonti d’ispirazione o non rischia, piuttosto, di creare un’ulteriore barriera tra noi persone disabili e gli altri, i “normali”?

Tom, la mascotte delle Paralimpiadi di Rio 2016Non sarebbe, forse, più corretto (e utile) descrivere le loro gesta sportive, esaltandole com’è giusto che sia, ma senza fare cenno ad una loro presunta “superiorità”? Certo, è indubbiamente utile, per chi fa i conti quotidianamente con una disabilità cronica di qualsiasi tipo, vedere altre persone nella sua stessa condizione (o in situazioni più gravi) che, anziché piangersi addosso, si mettono in gioco, sfidando i propri limiti. Ma non è proprio questo, vale a dire sfidare i propri limiti, che fanno anche gli sportivi “normali”? Perché sottolineare questo aspetto solo per gli atleti paralimpici?

Non mi stancherò mai di ripeterlo: le persone disabili non sono né migliori né peggiori rispetto alle altre. Le persone disabili sono, innanzitutto, persone. E come tali andrebbero raccontate. Sarà così anche a Rio 2016? Staremo a vedere e, ovviamente, a tifare!

W lo sport!

In questi giorni nei quali imperversano i campionati europei di calcio, non posso esimermi dal parlare dell’importanza dello sport, non solo come passatempo e modo per tenersi in forma, ma anche come occasione di aggregazione, sia che lo si viva da spettatori che da protagonisti.

Non è affatto vero, infatti, che la pratica di uno sport (anche a livello agonistico) sia riservata esclusivamente ai “normodotati” (ci sarebbe molto da discutere sul concetto di “normalità”, per altro). Esistono ormai da anni federazioni ed enti che organizzano campionati ed eventi sportivi dedicati alle persone con disabilità fisica o intellettiva, che hanno pari dignità e valore sportivo degli altri, al punto che, dal 1960, nello stesso anno dei giochi olimpici, si svolgono quelli paralimpici.

Discipline come il basket, il tennis, la scherma, non sono affatto “impossibili” per chi ha un deficit motorio, per esempio. Allo stesso modo, l’atletica, la corsa, il nuoto non sono preclusi ai disabili sensoriali. Basta utilizzare gli opportuni accorgimenti, che si tratti dell’utilizzo di una carrozzina opportunamente adattata per consentire l’esercizio della pratica sportiva o di avvalersi dell’aiuto di una “guida” per affrontare un percorso in piscina o su pista.

Come iniziare a praticare uno sport in maniera “seria”? Anche per chi ha una disabilità valgono le stesse raccomandazioni che si danno a tutti: sottoporsi prima a scrupolosi controlli medici e, naturalmente, consultare gli specialisti dai quali si è seguiti per la propria patologia per valutare insieme la disciplina più adatta.

basket

Avete mai assistito ad un match di basket in carrozzina o ammirato la grande Beatrice “Bebe” Vio in azione in pedana? Se sì, vi sarete resi conto che, quanto ad agonismo, talento ed emozioni, lo sport dei disabili non ha niente da invidiare a quello praticato dai “normali”.

Se, invece, siete degli inguaribili pigroni e lo sport preferite guardarlo, magari anche dal vivo, forse sapete già che le federazioni delle discipline più seguite (dal calcio al basket, passando per volley e tennis, e non solo) prevedono sempre, all’interno degli impianti, la presenza di una percentuale di posti (o interi settori, a seconda della grandezza degli impianti) riservati a persone con disabilità e relativi accompagnatori. Nella maggior parte dei casi, l’ingresso è totalmente gratuito: basta inviare con un certo anticipo il modulo RAD (Richiesta Accredito Disabili), scaricabile dal sito web della società sportiva che gioca in casa e l’eventuale altra documentazione richiesta (certificato d’invalidità e, in alcuni casi, documento d’identità), alla società organizzatrice per godersi lo spettacolo senza altra preoccupazione oltre a quella di tifare!