“Sasso, carta, forbici”: Google contro il bullismo

Negli ultimi giorni, mi sono imbattuta spesso, navigando su Internet, in un video molto bello e significativo: “Sasso, carta, forbici“, lo spot di Android (il sistema operativo di Google per i dispositivi mobile) contro il bullismo. Lo spot non è nuovo, essendo stato presentato per la prima volta a febbraio scorso, durante l’ultima notte degli Oscar. Ma, visto che il bullismo continua ad essere un problema pressoché globale, vale sempre la pena di rivederlo e, soprattutto, riflettere sul senso profondo del messaggio che trasmette.

Sasso, carta, forbici“: chi di noi non ha mai giocato almeno una volta, da bambino, alla morra cinese? Nel gioco, i tre elementi sono, da un lato, in grado di annullare l’azione di un avversario, ma, dall’altro, sono esposti ad essa: per esempio, il sasso batte le forbici, ma, allo stesso tempo, viene battuto dalla carta. Soltanto unendo le proprie forze sasso, carta e forbici possono resistere agli attacchi esterni.

Perché è proprio sulla solitudine della vittima prescelta che fa leva il bullo (o i bulli) di turno, per colpirla. Ed è un problema, il bullismo, che interessa costantemente bambini e ragazzi di ogni età, per le motivazioni più disparate: la disabilità, la differenza etnica, sessuale o anche, semplicemente, caratteriale o nell’aspetto esteriore sono tutti fattori che, in quanto segni di “diversità“, possono far apparire chi li rappresenta, suo malgrado, una sorta di “elemento di disturbo”, da eliminare dal quadro che, agli occhi dei bulli, dovrebbe rappresentare la “perfezione”.

"Sasso, carta, forbici" lo spot contro il bullismo

E, allora, che fare? Come superare il problema? Di certo, non girandosi dall’altra parte, liquidando gli episodi di bullismo come “ragazzate”, che passeranno da sé, come, purtroppo, succede troppo spesso. L’unico modo per superare il bullismo è, proprio come ricorda lo spot “Sasso, carta, forbici“, unire le forze, non isolare le vittime (anche solo potenziali) di bullismo, ma star loro accanto, mettere in atto ogni sforzo possibile per abbattere, attraverso la cultura dell’inclusione, le barriere che separano dai “diversi”.

Lo spot con Checco Zalone è davvero “scorretto”?

In questi giorni, sta destando un notevole scalpore lo spot con Checco Zalone per la raccolta di fondi a favore della ricerca sull’Atrofia Muscolare Spinale (SMA), promossa dalla onlus Famiglie SMA.

Contrariamente a quanto avviene di solito in questo genere d’iniziative, lo spot con Checco Zalone non sfrutta toni pietistici, ma fa leva su una caratteristica che ha reso celebre il comico pugliese: la capacità di essere dissacrante. Nello spot, Zalone si lamenta per le intemperanze di un condomino. Cosa c’è di nuovo? Che il condomino in questione è Mirko, un ragazzino affetto da SMA che si è appena trasferito nel palazzo, costringendo Zalone a modificare le proprie abitudini: perde il posto auto, fa tardi in ufficio o perde l’aereo perché, a causa delle barriere architettoniche, il padre del ragazzino è costretto a fare mille manovre per consentirgli di arrivare dall’auto a casa e viceversa, non riesce a dormire perché Mirko gioca fino a tardi ai videogame, etc.

Mirko, nello spot, non è descritto come un “poveretto” da aiutare per compassione, ma come un “intralcio”: Zalone decide di sostenere la ricerca augurandosi che, così, Mirko guarisca e lo liberi dai problemi che gli causa.

Famiglie SMA - spot con Checco Zalone

Ma questo significa che lo spot con Checco Zalone è “scorretto”? A mio parere, è esattamente l’opposto. Perché è esattamente così che bisognerebbe guardare alla disabilità: basta compassione di qualche attimo (che, spesso e volentieri, lascia il tempo che trova), benvenuta “normalità”! 

La ricerca non va sostenuta per “pietà”, ma per aiutare persone che, nel bene e nel male, sono esattamente come tutti. Quindi, magari, anche per risolvere, “egoisticamente”, un problema. Lo stesso approccio dovrebbe essere adottato quando si guarda alle barriere, architettoniche e culturali, che condizionano quotidianamente l’esistenza di molte persone, disabili e non: la loro eliminazione non dovrebbe essere una “generosa concessione” a soggetti o categorie da compatire, ma il frutto della consapevolezza che, senza di esse, il mondo in cui tutti viviamo sarebbe nettamente migliore. Per tutti.