“Diversamente Amore”: operazione riuscita?

I concetti di “inclusione” e “accessibilità“, per come le intendo io, non si applicano soltanto agli spostamenti, all’eliminazione delle barriere architettoniche, all’accesso al lavoro. Tutti ambiti importantissimi, anzi fondamentali per una buona qualità della vita. Ma non è meno importante, come abbiamo avuto modo di sottolineare in varie occasioni, la possibilità di vivere pienamente anche un aspetto troppo spesso sottovalutato (quando non del tutto trascurato) della vita di tutte le persone, comprese quelle con una disabilità di qualsiasi tipo: l’affettività in tutte le sue sfaccettature. Proprio a questo tema è stata dedicata “Diversamente Amore“, la trasmissione tv trasmessa nei giorni scorsi su Rai2 (e, ancora per qualche giorno, visibile gratuitamente su Raiplay.it), condotta- o, meglio, raccontata- dalla campionessa paralimpica Bebe Vio.

Diversamente Amore

Diversamente Amore” è il racconto, fatto direttamente dalla viva voce dei protagonisti, delle storie d’amore di cinque coppie “diverse”, vale a dire con almeno uno dei componenti affetto da una qualche forma di disabilità. Dal racconto della quotidianità delle coppie emerge, sostanzialmente, un messaggio di fondo: al di là delle condizioni specifiche delle persone (e delle esigenze particolari che ne derivano), una persona con disabilità (di qualsiasi tipo) può amare ed essere amata esattamente come chiunque altro. Le limitazioni imposte dalla condizione di disabilità non implicano , di per sé, l’impossibilità di amare, né, men che meno, quella di essere amate… anche da persone perfettamente “normali”.

Bella idea, quella alla base di “Diversamente Amore“, sicuramente. In un contesto sociale nel quale, nonostante i progressi fatti negli ultimi decenni, è ancora la norma, per le persone con una disabilità visibile, sentirsi “gli occhi addosso” (e non certo per ammirazione…), essere considerate, alternativamente, “sventurate” da compatire (quando non da evitare o, in casi estremi, su cui accanirsi e sfogare gli istinti più beceri, come ci ricordano vari tristissimi episodi di cronaca) o “eroine” delle quali esaltare il “coraggio” e la “forza”, qualsiasi cosa che serva a ricordare che anche chi ha una disabilità, al di là dei propri problemi specifici, affronta le stesse situazioni di tutti (problemi sul lavoro, storie d’amore più o meno felici, piccole-grandi difficoltà quotidiane, etc.) è benvenuta. Anche il tono dei racconti è riuscito ad evitare (quasi sempre) il pietismo, che troppo spesso è la cifra stilistica di questi esperimenti.

Disabili e sessualità

Tuttavia… Non so a voi, ma, a me, guardando la trasmissione, è sembrato che mancasse qualcosa. Cosa? Beh, certamente scegliere solo cinque storie che fossero rappresentative del multi-sfaccettato mondo delle disabilità non era impresa semplice. Ma, salvo alcune differenze secondarie, le situazioni e le problematiche quotidiane narrate in almeno un paio di storie erano molto simili, per non dire quasi sovrapponibili. Sarà che sono parte in causa, ma sarebbe stato bello vedere storie anche diverse dallo stereotipo- durissimo a morire- “disabilità motoria = sedia a rotelle”. Inoltre, mi è sembrato che, anche in questo caso, si sottolineasse fin troppo l’aspetto “eroico” della situazione delle coppie, il “coraggio” di mettersi e stare insieme, sia rispetto alla parte “diversa” delle coppie che a quella “normale”. È vero: stare insieme ad una persona con una disabilità “importante” non è sempre semplice. Ma perché, mi viene da chiedere, stare insieme, anche quando non c’è di mezzo la disabilità, è forse tutto rose, fiori, cuoricini e tenerezze da S. Valentino?

Un vecchio adagio recita: “Piuttosto che niente, meglio piuttosto“. Quindi, prendiamo il buono (tanto) che c’è in “Diversamente Amore” e speriamo che nei prossimi esperimenti su questo tema si veda sempre più la normalità dei sentimenti, prima che la “diversità” tra le persone che da questi sono unite.

“La classe degli asini”: un film tv sull’inclusione

Non amo particolarmente fiction e dintorni, ma quando, ieri sera, mi sono sintonizzata su RaiUno per vedere “La classe degli asini” sono rimasta piacevolmente sorpresa. Per chi non l’avesse visto, questo film tv racconta la storia di una figura centrale nel processo d’inclusione scolastica degli studenti con disabilità: Mirella Antonione Casale, insegnante e madre lei stessa di una ragazzina resa gravemente disabile dall’encefalite virale. Grazie all’operato di questa coraggiosa donna e di altri suoi colleghi, si è giunti, nella seconda metà degli anni ’70, a superare, finalmente (almeno, sulla carta) le famigerate “classi speciali” o “differenziali”.

Nate ai tempi della riforma Gentile con l’obiettivo di garantire un’istruzione agli studenti in situazione di handicap, tali classi finivano spesso per diventare veri e propri “ghetti”, nei quali venivano letteralmente parcheggiati anche bambini senza alcun handicap, magari solo perché vivevano una situazione di disagio sociale o per il temperamento troppo “vivace”.  Un po’ ciò che accade ne “La classe degli asini”, dove Riccardo, un ragazzino meridionale con una famiglia disastrata, finisce per essere rinchiuso in una sorta di “convitto degli orrori” (dove i bambini subiscono ogni genere di violenza, fisica e psicologica) solo perché, nella Torino del boom economico, si esprime solo in dialetto e fatica a rispettare le regole. Mirella e il collega Felice (che ricorda un po’ il professor Keating de “L’attimo fuggente“) prendono a cuore il suo caso e fanno sì non solo che Riccardo possa lasciare il convitto, ma che vengano alla luce gli abusi lì perpetrati sui bambini. Inoltre, una volta diventata preside ed entrata in contatto con ANFFAS (l’Associazione delle Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), s’impegna a far sì che i bambini con handicap e quelli prima “rifiutati” possano ricevere un’istruzione (e un trattamento a 360°) pari agli altri studenti. Anche grazie al suo contributo, nella realtà, si arrivò, nel 1977, attraverso la legge 517, all’abolizione delle “classi speciali” (che, tuttavia, sopravvissero ancora, di fatto anche se non di nome, per qualche anno, ma si sa che le barriere culturali sono dure da abbattere!) e all’inclusione degli studenti con disabilità nelle classi “normali”, con l’aiuto (ove necessario) di insegnanti di sostegno.

"La classe degli asini" - cast

Il cast del film – Foto ©Fabrizio Di Giulio/ Ufficio Stampa RAI

La classe degli asini” riesce ad affrontare un tema difficile in modo straordinario, senza insistere su pietismo ed emotività, anche grazie alle interpretazioni non solo di Vanessa Incontrada (Mirella) e Flavio Insinna (Felice), ma anche dei giovanissimi (e bravissimi) Giovanni D’Aleo (Riccardo) e Aurora Giovinazzo (Flavia). Come dice Mirella stessa nel film, riferendosi ad un piccolo-grande progresso compiuto da Flavia grazie all’aiuto di Riccardo:

“Si può accendere una lampadina […] Per accenderla, ci vuole qualcuno che prema quel pulsante.”